La vera storia di Moby Dick

Hermann Melville e la vera storia della balena bianca

 

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo.

Così ha inizio l’epopea di Moby Dick, dalla semplice indolente curiosità di Ismaele, la voce narrante che ci accompagna nello svolgimento di questo grande romanzo che, come è stato scritto “più di ogni altro si avvicina alla potenza del mito”. Si disse anche che Hermann Melville ha rappresentato per gli oceani del mondo, quello che Omero è stato per il Mediterraneo orientale.

Sicuramente Herman Melville sapeva ciò che scriveva trattando di navi baleniere, dal momento che a 22 anni viaggiava a bordo di una di queste: la Acushnet. La nave viaggiava verso i Mari del Sud a caccia di grandi cetacei. Ricordando quell’esperienza affermò in seguito che una nave baleniera era stata la sua Yale e la sua Oxford.

Ad ispirare lo scrittore poi, oltre a ciò che aveva vissuto in prima persona, c’erano le strane ed affascinanti storie che circolavano su una grande balena realmente vissuta al principio del XIX secolo nell’Oceano Pacifico: Mocha Dick.

I diffusi racconti che circolavano sulle imprese di questa balena colpirono profondamente Melville, che con la sua penna ne scolpì l’immagine, ad imperitura memoria. 

 

Rockwell Kent

 

Questo gigantesco animale, ben noto a chi aveva navigato al largo del Cile meridionale, oltre all’inconsueto aspetto che una balena albina doveva offrire, presentava anche un’altra particolarità: il carattere fiero ed estremamente combattivo. La ferocia e l’astuzia che le vennero attribuite ne fecero una leggenda, e fu a lungo molto temuta dai cacciatori di balene. Sopravvisse a scontri ed attacchi di ogni genere, finché, nel 1838, mentre soccorreva un’altra balena sconvolta per l’uccisione del suo piccolo, venne uccisa.

Il suo corpo misurava 21 metri, e riportava i segni delle numerose battaglie sostenute.

Questo fu il triste epilogo della vera vita di Moby Dick, ma uno scrittore ha la facoltà di trasformare la storia, e di rendere immortale ciò che racconta, così, grazie a Melville, la nostra balena non è mai stata uccisa e vivrà per sempre, indomabile e selvaggia.

Verrebbe da chiedersi se anche l’impressionante figura del capitano Achab fu ispirata da qualche torvo personaggio, conosciuto dall’autore nella sua avventurosa giovinezza, in quell’ambiente che, di storie, doveva offrirne davvero molte.

Certo è che l’irriducibile antagonismo tra il Capitano Achab e la balena Moby Dick assume una valenza simbolica che è l’alfa e l’omega di tutta la vicenda. La potenza (o il male) dell’uomo da un lato, animato e sospinto dalle sue ossessioni irrefrenabili, armato di astuzia e tecnica, e quella della natura dall’altro, incontenibile e terribile nelle sue soverchianti manifestazioni.

 

Rockwell Kent

 

Capolavoro o fallimento?

 

Non sappiamo se furono la forte carica metafisica della narrazione, oppure le corpose dissertazioni di carattere scientifico-naturalistico a fare dell’opera, un indiscutibile fallimento commerciale. Sappiamo invece che fu necessario attendere gli anni ‘20 del ‘900 perché le fosse tributato il giusto riconoscimento, ed assegnato il posto che le spettava nella storia della letteratura.

A quel punto si susseguirono varie edizioni dell’opera, tra le quali va certamente ricordata quella stampata nel 1930 a Chicago, arricchita dalle formidabili illustrazioni di Rockwell Kent, che legò così per sempre il suo nome a quello di Moby Dick.

 

Rockwell Kent

 

Gli editori furono così entusiasti del primo gruppo di disegni, che commissionarono all’artista anche la cura dell’intera veste grafica dell’edizione lusso (un magnifico cofanetto composto da tre eleganti volumi). Lo stesso Kent, considerato sia in patria che all’estero uno dei migliori illustratori del suo tempo, scrisse nella dedica ad un amico che, per quanto l’edizione realizzata fosse davvero eccellente, rimaneva tuttavia ridicolmente indegna del testo vero e proprio.

Chissà come avrebbe giudicato la prima edizione italiana che di lì a poco stava per uscire (nel 1932) per i tipi dell’editore Frassinelli. Si trattò in ogni caso di un’edizione notevole, sia per la bella copertina realizzata da Mario Sturani, sia per la fantastica traduzione di Cesare Pavese.

 

Copertina di Mario Sturani per l’edizione Frassinelli del 1932

 

Naturalmente, a prescindere dalle pur interessanti vicende editoriali, Moby Dick è un’opera che continua ad avvincere, confondere (ed anche scoraggiare) generazioni di lettori in tutto il mondo, e l’invito a chi non avesse ancora viaggiato a bordo del Pequod, insieme ad Achab, Ismaele e Quiqueg, non può che essere quello di imbarcarsi e partire per questa grande avventura.

Buona lettura!

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