Caratteristiche e condizioni:
cm. 19,5 x 11,5, pp. 168, brossura, in ottime condizioni.
Contenuto:
Singolare ventura, quella del vercellese A. G. Cagna: prolifico autore di libri disarmatamente patetici, diede fuori, a partire dai quarant’anni, alcuni romanzi estrosi e rari che solo a Novecento inoltrato sarebbero stati davvero «letti». Tra essi, Alpinisti ciabattoni (1888) certo è il libro dove l’umorismo, così insolito nella nostra letteratura, ha una maggior tenuta. Epigono della Scapigliatura nella sua diramazione piemontese (Giovanni Faldella gli fu maestro e battista), Cagna partecipa alla rivolta contro gli schemi preordinati e sicuri entro i quali la riforma manzoniana pareva costringere senza scampo la lingua italiana postunitaria, e lo fa attraverso un inesauribile repertorio di eccezioni al parlare comune, attinte tanto al dialetto quanto alla lingua dei puristi. Già Croce l’aveva accolto con simpatia nel suo regesto sugli «scrittori della nuova Italia». Ma l’ora di Cagna suonò in realtà nel 1925, quando fu ripubblicato da Piero Gobetti, e un giovane critico d’eccezione, Eugenio Montale, mise in rilievo il suo autentico tesoro, una «lingua vistosa che dipinguazzo». Era l’avvio di una scoperta che avrebbe trovato in Gianfranco Contini il più illustre esploratore e cartografo: Cagna come anello di quella linea «macaronica» che arriva fino a Gadda, anche lui lettore attento e confesso del vercellese.