cm. 21,5 x 15,5, pp. 586, copertina rigida con sovraccoperta, lieve ingiallimento del dorso, in condizioni molto buone.
La tesi che orienta questo volume è una tesi «forte»: secondo Agursky, la Rivoluzione d’Ottobre fu eminentemente russa e nazionalistica, sottesa come era dall’antica convinzione messianica che a Mosca – e alla Russia in senso lato – spettasse la missione di essere, dopo Roma e Costantinopoli, il centro unificatore del mondo. Una linea storico-culturale che ascrive alla Russia un ruolo salvifico e rivoluzionario si ritrova in tutta la tradizione del pensiero politico russo moderno: nel panslavismo, nel populismo, così come nelle prime forme di socialismo rivoluzionario. E se i nichilisti giunsero a rifiutare ogni apporto della civiltà occidentale e a sognare una Russia fiera della propria «barbarie», i nuovi rivoluzionari accettarono il retaggio occidentale, ma solo come strumento di una più rapida attuazione del programma che voleva una Russia guida e faro dei popoli. ln particolare, puntando su una sorta di nazionalizzazione del marxismo – iniziata da Lenin e portata a compimento da Stalin – i rivoluzionari di matrice bolscevica seppero fare dello stesso internazionalismo proletario un’arma per subordinare alla riuscita del «socialismo-in-un-solo-paese» ogni fermento di rivoluzione in altri contesti statali e nazionali. La Russia, sotto forma di Unione Sovietica, si era così eretta alla posizione di centro delle speranze e delle aspettative universali. Sono questi i tratti essenziali di una riflessione ricca di intuizioni, implicazioni e sviluppi, sostenuta da un ricorso puntuale alle fonti e da una lettura spregiudicata dei documenti che troppo spesso la deformazione ideologica (o nel migliore dei casi la passione politica) ha confinato all’opacità storiografica. Ne emerge una fertile proposta che non mancherà di suscitare discussioni e interventi, in momento in cui l’Unione Sovietica si trova ad affrontare un’altra e molto diversa Rivoluzione.