cm. 21,5 x 14,5, pp. 295 + 22 tavv. f.t., brossura, sporadiche sottolineature a matita, in condizioni molto buone.
La fotografia pittoricista, molto prima del cinema, sfruttando l’arma dell’illusione persuasiva, ha infiltrato nella nostra vita piacevolissime irrealtà che si sono mescolate alla nostra esperienza quotidiana. Ado Kyrou, parlando del cinema surrealista, scrisse che da quando il cinema ha moltiplicato i sogni nelle sale cinematografiche, il sogno ha smesso di essere una parentesi isolata nella vita: è entrato a farne parte. Per la fotografia illusionista si potrebbe dire che da quando questa ha impresso su pellicola i desideri di fuga e di evasione dal reale, l’irrealtà ha smesso di essere la negazione della realtà: ne è diventato il suo diretto prolungamento. Il fascino di uno sguardo proibito, la potenza di un occhio capace di trasformare ogni cosa in oggetto, gli ambigui percorsi della memoria, la lotta contro il tempo: queste sono, a grandi linee, le caratteristiche della fotografia qui definita rivelativa; una fotografia che affida ogni sua possibilità di presenza a un assoluto delirio di mondanità. E può farlo perché buona parte della cultura novecentesca sembra muoversi in questa direzione. Dall’epifanicità di Joyce all’oggettivazione totale della realtà proposta dalla Pop Art, il filo conduttore è forse uno solo, unico il bisogno: rispondere alle invitanti e misteriose sollecitazioni di ciò che quotidianamente ci circonda.