cm. 21,5 x 15,5, pp. 590, copertina rigida con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Il repentino cambio di alleanze dell’Italia conseguente all’armistizio dell’otto settembre 1943 trova Giovanni Ansaldo in Dalmazia, al Comando del VI Corpo d’Armata. Fino a due mesi prima il tenente colon nello Ansaldo era direttore del «Telegrafo», il quotidiano livornese di Ciano; era uno dei giornalisti più intelligenti e capaci, ma anche più esposti, tra quanti avevano aderito al fascismo; la caduta di Mussolini, il 25 luglio, l’aveva risolto ad abbandonare l’incarico al «Telegrafo e a farsi richiamare. Non sarà questione che di pochi giorni: il 12 settembre è già in mano ai tedeschi, in viaggio verso la prigionia in Germania. Di quel biennio d’internamento è testimonianza questo diario, sinora ine dito, che Ansaldo tenne dal gennaio 1944 fin quasi al rientro in Italia, avvenuto nel settembre 1945. Più che la cronaca di una prigionia, queste pagine sono però un documento personale: nella forzata inazione del Lager Ansaldo riflette instancabilmente sulla sua vita passata, sulle prospettive future, torna e ritorna sulla scelta di non aderire alla Repubblica di Salò, commenta il procedere della guerra e la distruzione di quell’Europa totalitaria in cui, carezzevole e accarezzato, era uso muoversi da principe» dei giornalisti. Scatti d’orgoglio e timori, nostalgie e rimorsi, scetticismi e speranze si depositano giorno dopo giorno sui foglietti minuscoli del diario finendo per comporre l’autoritratto spregiudicatamente sincero di uno dei più controversi «homme de lettres» che l’Italia abbia avuto in questo secolo.