cm. 20,5 x 12, pp. 182, brossura, in buone condizioni.
Il Cavaliere des Touches (1864) è il romanzo più singolare di Barbey d’Aurevilly, scrittore eccentrico e visionario, tra i maggiori dell’Ottocento francese. Ambientato in Normandia verso il 1799, all’epoca dell’estrema e inutile resistenza della chouannerie contro i repubblicani, è assai poco il “romanzo storico” progettato oltre dieci anni prima, quando Barbey ambiva essere il “Walter Scott normanno”. È piuttosto un racconto librato nell’atmosfera misteriosa che si confà a un’evocazione di spettri, quelli di una società provinciale fossilizzata in usanze desuete e in una vana fedeltà. I personaggi raccolti nel salotto delle Touffedelys – realisti delusi dalla Restaurazione eppure ostinati, “anime grandi sotto un involucro grottesco” – Barbey li ha conosciuti: appartengono al mondo della sua infanzia. Qui, appunto, la storia si stempera nella leggenda familiare; e il romanzo, più vero della storia, è un rifluire dei ricordi alla riconquista del “tempo perduto”. Profeta del passato, Barbey conduce consapevolmente un’operazione nostalgica, “inattuale”, che interesso vivamente i contemporanei per la sua portata politica. Colpisce e affascina noi, piuttosto, il carattere privato del suo ritorno al passato, e il continuo scambio tra passato e presente in una struttura romanzesca che giustappone e interseca tempi e storie diversi, come in un gioco di specchi. L’amore infelice di Aimee de Spens, la “vergine-vedova”, fa da contrappunto all’eroismo inutile di Des Tóuches e alla folle avventura della sua liberazione; racconto nel racconto, le vicende dell’una e dell’altro si intrecciano per non incontrarsi che nel finale, quando sarà rivelato il segreto di Aimee, quello di un “rossore vivo come un corallo”… Schermo di una fantasticheria erotica “censurata”, questo rossore rimanda, come in un’interferenza cromatica, alla fascinazione del sangue che serpeggia in tutto il romanzo, in una sorta di compiacimento che sconfina nel sadismo.