cm. 21,5 x 16,5, pp. 816, copertina rigida con sovraccoperta, tagliando rimosso al risvolto poteriore, in buone condizioni.
Composto per lente accumulazioni, per successive stratificazioni durate quasi vent’anni, Il romanzo di Ferrara racconta innanzitutto Ferrara. Ma quale Ferrara? Della città che prima fu degli Estensi, poi dei Cardinali Legati, e infine venne a far parte del Regno d’Italia, il libro di Bassani parla appena. L’attenzione dello scrittore è volta con assoluta prevalenza alla Ferrara della prima metà di questo secolo: con speciale riguardo a quella che fu teatro del fascismo e dell’immediato post-fascismo.
Tuttavia, Il romanzo di Ferrara è appunto un ro manzo; e, come tale, racconta la storia, oltre che della città che si diceva, di molte private vicende umane. Lida Mantovani, Elia Corcos, Geo Josz, Clelia Trotti, Pino Barilari, Athos Fadigati, Micòl Finzi-Contini, Luciano Pulga, Edgardo Limentani, Egle Levi-Minzi, il signor Buda, Mario Spisani detto Pelandra, Bruno Lattes, ecc.: anche qui, come nella narrativa “storica” tradizionale, ci troviamo dinanzi a un’autentica folla di tipi, di personaggi, i quali, non meno della città affatto “reale” che fa loro da sfondo, sembrano tutti usciti dalla vita vera. Chi sono? Borghesi, i più, grandi e piccini: come la stragrande maggioranza degli abitanti di Ferrara. Eppure – per elezione personale, o per decreto del destino – ciascuno di costoro si sente, ed è, diverso dall’ambiente circostante: e per ciò solo ne risulta escluso, irreparabilmente.
È di scena, anche, fra gli altri, il narratore stesso: da giovane. Per squarci più o meno estesi o trasposti, Bassani ci racconta della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua prima giovinezza, moltissime cose in sostanza “vere”, compresa la rivelazione, dolorosa ed esaltante insieme, della vocazione poetica: la quale, anche per lui, è stata vocazione a separarsi dalla vita, a starne fuori. Ed è lui, in fondo, l’artista as a young man, il protagonista assoluto del libro: quello che rilega l’uno al l’altro ogni personaggio, ogni vicenda. Lo scrittore racconta i suoi personaggi, li spiega. E, in tanto, racconta se stesso, spiega sé a se stesso.
Ciò detto, è da aggiungere che l’argomento più importante del libro, quello che gli conferisce la straordinaria unità che presenta, è forse la storia (sotterranea, ma non per ciò meno evidente) del rapporto tra Bassani e la sua materia. Guardata e indagata da ogni lato, o oggettivamente (come in Dentro le mura nell’Airone), o soggettivamente (come negli Occhiali d’oro, nel Giardino dei Finzi Contini, in Dietro la porta, e, soprattutto, nell’odore del fieno, sezione dell’opera, quest’ultima, impor tante anche sotto il profilo della struttura), la sua Ferrara costituisce il termine opposto di una vera e propria lotta con l’angelo, il segno dell’inesausta, disperata volontà di possesso della vita, o di recupero di essa, che è il segno di ogni operazione autenticamente poetica. “Occorrono troppe vite per farne una” ha detto Montale. Per concludere la sua esplorazione di se stesso, e delle proprie radici, sono occorsi a Bassani davvero molti “sguardi” dall’alto delle mura natali, durante le accorate, innumerevoli sue circuitazioni di esse.
Per questo complesso di motivi, ecco dunque un libro quant’altri mai organico. Disperato nella sostanza, ed estremamente nitido ed armonico nella forma (un contrasto che ha dei precedenti, non fosse altro quello leopardiano), solo adesso, dopo tanto tempo e tanta attenzione, e avendo ormai trovato il suo definitivo, circolare compi mento, appare come una sorta di poema romanzesco, da leggere dal principio alla fine.