cm. 21,5 x 15,5, pp. 338, brossura con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Bertolt Brecht non era un lettore disinteressato, salvo che di romanzi «gialli». Il suo spirito pragmatico lo induceva a leggere solo ciò da cui riteneva di poter ricavare qualche giovamento, e tale atteggiamento istintivo divenne in lui parte di una ricerca programmatica: «i criteri estetici – scrisse – sono da accantonare a favore del valore d’uso». Nonostante la riduttività di questa estetica, gli scritti raccolti in questo volume sono tra i più freschi e acuti degli scritti teorici e critici di Brecht, spesso superiori agli stessi scritti teatrali perché l’autore è meno vincolato dalla volontà precisa di fondare nuove forme. Si tratta per lo più di scritti polemici, dettati dal fastidio per l’arte borghese o per quel marxismo che si appellava ad essa. Diversi per importanza e grado di consapevolezza, i due principali nuclei polemici sono quelli degli scritti giovanili e della polemica sul realismo. Gli scritti giovanili pullulano di metafore tecnologiche di ispirazione futurista, che conferiscono loro il tono di una spavalderia monellesca attratta dal caos, anche se alla pura esaltazione del disordine e della velocità, del romanzo «giallo» e dello sport si accompagna ben presto il motivo dell’utilità di classe. L’analisi della ferocia del meccanismo sociale capitalista, se da una parte poteva condurre a esiti statici proprio un teorico del mutamento e del «flusso delle cose», dall’altra corrispondeva a una esperienza reale che Brecht sentiva profondamente.