cm. 22,5 X 14,5, copertina rigida con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Come è stato possibile? È questa la domanda che ci assilla quando consideriamo il genocidio degli ebrei compiuto dallo stato nazista. Come hanno potuto gli abitanti di una delle nazioni più civili d’Europa concepire e dare inizio allo sterminio di un intero popolo? Secondo Christopher Browning la risposta non sta in un singolo aspetto del regime nazista, ma in un’analisi dei vari livelli di responsabilità, da Hitler e dai vertici del governo fino agli esecutori materiali, e dei fattori legati all’alternarsi delle fortune militari della Germania. L’autore articola in tre punti fondamentali la sua riflessione sulla politica ebraica dei nazisti durante il periodo tra il 1939 e il 1942. La prima parte del libro prende in esame l’evoluzione nell’atteggiamento del regime a fronte della cosiddetta “questione ebraica”: dai piani di deportazione sistematica fuori dai territori del Reich alla creazione di ghetti, fino al genocidio. In seguito Browning prende posizione sui più recenti e dibattuti studi riguardanti la “soluzione finale”, come quelli di Arno Mayer, Andreas Hillgruber e Daniel Goldhagen, mettendoli a confronto con la sua analisi. L’ultima parte del libro esamina gli uomini della Germania nazista che perpetrarono lo sterminio: burocrati, amministratori, medici ed esecutori materiali, come i membri del Battaglione di polizia 101 che parteciparono alle fucilazioni di massa sul fronte orientale. È proprio su questo argomento e in polemica con la tesi di Goldhagen, che Browning enuncia con maggior forza la sua interpretazione: se in tanti si sono resi complici del genocidio, il motivo non può essere ascritto a una predisposizione del popolo tedesco a tanta efferatezza, ma a un perverso meccanismo di abdicazione collettiva alle responsabilità individuali.