cm. 20 x 12,5, pp. 116, brossura, lettera “S.” a penna al frontespizio, in ottime condizioni.
Il titolo, Nero di Puglia, sembra alludere a uno speciale colore (come il blu di Prussia o il terra di Siena) e in un certo senso è vero: è il colore della pelle di un nato in terra di Puglia, nel 1946, da un nero americano e da una pugliese. Dunque un nuovo colore per una particolarissima identità o, meglio, per segnare al contempo una mancata identità iniziale e la rabbiosa conquista di una identità nuova. Il libro di Campobasso non è un’autobiografia, e neppure un romanzo, come precisa nella prefazione Alfonso M. di Nola, ma è sicuramente una narrazione, sia pure di tipo inusuale, che ricorda le cantate meridionali-africane. La cantata nasce dal bisogno di raccontare, e quasi gridare, in versi, gioie e disgrazie della vita, come fatti non solo personali ma immediatamente sociali. La prosa di Campobasso, infatti, non resiste a lungo nella sua gabbia e cede il passo all’andamento impetuoso dei versi quando la rabbia o l’angoscia o l’amore diventano troppo forti per essere contenuti nella misura lenta del racconto tradizionale. Antonio Campobasso è uno scrittore nuovo e della sua innocenza quasi da naif conserva quel candore e quella generosità (insieme con l’amore per il rischio che si corre liberando i sentimenti) che servono a non raffreddare mai la pagina. Ci racconta la sua vita vera, naturalmente ma con un vigore e un ritmo tali da superare la barriera del fatto privato, sia pure angoscioso e drammatico, per diventare segno dell’emarginato dell’escluso in partenza. Forse qualche “anima bella” sarà tentata di giudicare un po’ semplificante la divisione tra Bene e Male che Campobasso sottolinea con gesti vigorosi e perfino con invettive: ma la realtà a volte e molto semplice e chiara, e non la si riconosce più quando si è ormai preda di ideologie tranquillizzanti.