cm. 21 x 21, legatura a doppio punto metallico, in buone condizioni.
Nella metodologia fortemente riduttiva di Munari, ideazione e fruizione collimano, rimanendo tuttavia momenti distinti. È questo, credo, l’aspetto più originale della sua ricerca, della sua teorizzazione, della sua didattica.
Munari concepisce il design come una componente della cultura di massa. La bella materia, la bella linea, la bella funzione sono fattori aggiuntivi che entrano in campo quando l’oggetto è già stato inserito nei meccanismi del mercato. L’oggetto è oggetto prima di essere merce: ha una sua struttura e un suo statuto primari e non riducibili. Il ragionamento di Munari non è idealistico, ma fenomenologico. L’oggetto nasce come oggetto nell’istante in cui pone, parallelamente e simmetricamente, soggetto (o viene posto da esso). In quel momento, la prospettiva si riduce al piano, la proporzione all’identità, la simmetria alla speculazione. Allora l’ultimo diaframma tra percezione e immaginazione è percezione ciò che si immagina e viceversa. Perciò il problema del design è rigorsamente visivo, anzi ottico. Infatti, l’analisi della struttura della percezione è al tempo stesso l’analisi dell’identità di oggetto e soggetto. Nessuna ulteriore riduzione può andare oltre la costituzione dell’oggetto mediante la compenetrazione di immagine e cosa. Ammesso che oggetto e soggetto siano entità identiche ma distinte, sorge il problema del loro rapporto: che cosa può sussistere tra due entità che si specchiano interamente l’una nell’altra? C’è nel pensiero semplice ma sottile di Munari un lato magrittiano, “ceci n’est pas une pipe”. Ciò che lo salva dalle metodologie e archetipologie del design è l’ironia degli oggetti e dei soggetti verso se stessi. Senza questa reciproca ironia, oggetto e soggetto sarebbero immobili e immutabili. E anche nella realtà di ogni giorno, non è forse l’ironia che degrada e ricambia gli oggetti? Ora l’ironia si genera appunto dalla semplificazione e dalla specularità, così come due persone che si guardano fisse negli occhi si mettono a ridere.
Munari ha l’ironia del complicato, del meccanico e dell’inutile. O forse, l’ironia dell’oggetto per il soggetto e del soggetto per l’oggetto. E può dorsi che il suo umorismo sia anche un mezzo della sua didattica piacevole e intelligente. Soprattutto, però, ironizza l’artista genio, demiurgo, inventore, prometeico. Per Munari, l’invenzione consiste soltanto nel fare qualcosa di nuovo, ma non banale, che a nessuno prima era venuto in mente di fare. Il suo design è proprio l’opposto di quella che Freud chiama la psicopatologia del quotidiano. Vi pare poco, al giorno d’oggi, insegnare ad essere semplici senza essere rozzi? Nel Rousseau di Munari tutti nascono integri, limpidi, intelligenti, non si sa come mai e con quanto penoso esercizio, a tanti succeda poi di crescere aggrovigliati, torvi, imbecilli. Con un po’ d’ironia, a nostro volto, potremmo dire che il suo mondo ideale è un asilo-nido per adulti.
Gulo Carlo Argan