cm. 21,5 x 13,5, pp. 202, brossura con sovraccoperta, qualche ingiallimento, in buone condizioni.
Le notti di Glasgow rappresenta un punto di arrivo, una precisa conquista nel lavoro narrativo di Luigi Compagnone. Dopo «l’estro folle e disperato della girandola della vita» ritratto con segno torbido e furioso ne L’amara scienza (1965, Premio Chianciano); e dopo Capriccio con rovine (1968 Premio Selezione Campiello), «un conciliato romanzo in cui combina la propria napoletanità con un soprassalto di deluso illuminismo», egli ci dà con questo libro quella che è sino ad oggi la sua più felice riuscita. I termini di fondo del problema sono gli stessi: ma qui figurati nella stolta e invidiabile gymkhana di una storia d’amore. Alla nevrosi del protagonista maschile, fatta di bontà marcia e pur sempre ripullulante di illusioni e si direbbe di utopia, si contrappone l’isteria della donna, radicata su un impenetrabile egoismo. L’avventura si conclude con una resa senza condizioni. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Lo scontro tra l’isteria dell’egoismo e la nevrosi della falsa bontà è condannato a piombare tutte le dramatis personae nel buio dell’ipocrisia assoluta. Ma (e qui si rivela la forza del Compagnone, la sua squisita sensibilità moderna) se la morale della favola investe il giudizio sulla società, le debolezze e le colpe che stanno a monte del comportamento individuale, i due personaggi della vicenda sono per così dire accompagnati ed assolti, passo passo nel vivo della vicenda, dal loro stesso sofferto vivere dal loro stesso dono esistenziale. La fantasia del romanziere li scolpisce nitidamente nel chiaroscuro, nelle intermittenze, nei sempre mobili viluppi di entusiasmo e scoramenti, di abbandonate passioni e di crudeli diffidenze che riempiono le loro giornate; nel confuso confine tra il vivere e il lasciarsi vivere da cui sono di continuo divisi. Il vortice di questo bulino traccia segni profondi. Al di là del ritratto di una società e di una sempre vivacissima storia dei sentimenti, il Compagnone riesce a toccare la verità di una ricorrente favola umana: è interpretando il miscuglio di angoscia e passività alle mode, di irrequietudine e di cinismo, di desolazione e di voglie, di mistificato e di autentico, che caratterizzano questi nostri anni, porta la tensione fantastica del suo racconto a farci intravvedere sotto il capriccioso grottesco quotidiano la razionalità del dolore.