cm. 28,5 x 22,5, pp. 208, coperina rigida, in ottime condizioni.
Dante Pisani, uno dei decani dell’arte triestina, veleggiando verso le ottantacinque primavere, ci appare decisamente più giovane, più entusiasta, più curioso di molti giovani. Da lui c’è sempre qualcosa di nuovo da aspettarsi: ecco perché parlare di mostra-sintesi di una carriera o di grande retrospettiva riguardo questa esposizione, realizzata dal Comune di Trieste a palazzo Gopcevich, potrebbe essere piattamente riduttivo. Preferiamo allora, scrivere di “viaggio”, un viaggio che Pisani ancora sta compiendo nell’arte e nella vita. D’altronde chi, più di Pisani, ama la vita?
L’arte di Pisani è vita: autore autodidatta o comunque certamente non coltivato in accademia, a quattordici anni va a lavorare alla Fabbrica macchine. L’anno prima l’esordio”: con una scatola di colori e con un cavalletto nella carsica Duttogliano, per vincere la noia della convalescenza dovuta a una pleurite. Proprio per capire la vita, fin da piccolo una sua grande passione è la biologia, che lo abitua all’osservazione puntuale e ponderata.
Pisani, estroso e vitale, attento alle gioie della quotidianità, amante della conversazione e del convivio, non è tuttavia insensibile ai grandi temi del “saeculum”, anzi. Le ferite recate alla natura e all’ambiente, le difficoltà di comunicare tra gli uomini, la macchina come straordinaria opportunità ma anche come tragico esito: quasi sessant’anni di attività girano attorno a quesiti drammatici che Pisani, dietro la forte e sorridente scorza, costantemente si pone. Si pone e pone a chi guarda suoi lavori: le sue torri di Babele, inquiete e inquietanti, sono stringente monito a ricercare codici di espressione e di comprensione, che escano dall’infeconda dimensione dell’uomo atomizzato, separato dalla comunità.