cm. 21 x 14,5, pp. 182, copertina rigida con sovraccoperta, una dedica a penna, in condizioni molto buone.
Dei mesi, tra il marzo 1927 e l’agosto 1928, che l’antifascista De Gasperi trascorse in prigionia, nessun documento è sopravvissuto più prezioso e vivo di queste lettere ai familiari. Soprattutto nella corrispondenza con la moglie, cui sono dirette in maggior parte, si specchia la condizione spirituale del recluso: le drammatiche alternative della coscienza, lo sconforto delle ore più dure, il rinascere miracoloso della speranza. Il carcere fu per Alcide De Gasperi il primo banco di prova della sua fede, politica e religiosa, che questo epistolario riflette in tutta la sua complessità. Regina Coeli dapprima, poi il Policlinico, e da ultimo un albergo romano nel periodo della libertà vigilata, sono le stazioni del suo rassegnato calvario. Con accenti di accorata tenerezza sfilano nel ricordo le immagini del passato, ferite per lo più ancora aperte nell’intimo suo e dei suoi cari; confidenze anche estrose; divagazioni letterarie in cui spesso il nome di Dante ricorre e testimonia, oltre a una predilezione culturale, devozione a un ideale di vita. E infine le cure quotidiane più minute: un maldestro lavoro di cucito, i tanti modi d’ingannare le ore del giorno traendone un qualunque profitto. Un siffatto carteggio viene perciò a illuminare la parte meditata. e segreta di un’anima che col suo stesso operare già. allora indicava le strade della giustizia, della cristiana fratellanza, della libertà. Da queste lettere, pur costrette entro i limiti della censura governativa, l’uomo Alcide De Gasperi esce più vero che da qualunque biografia.