cm. 19 x 13, pp. 384, brossura, uno strappetto al piatto anteriore, in buone condizioni.
Il pianto antico, il lamento mediterraneo e precristiano sui morti, è il tema cruciale su cui Ernesto de Martino mette alla prova l’efficacia delle categorie interpretative elaborate nel “Mondo magico”. L’esistenza dell’uomo primitivo è perennemente in bilico tra l’affermazione di se stesso e della propria presenza e l’universo della labilità in cui è costretto a vivere, dove tutto cospira per l’annullamento e lo scioglimento. La morte di una persona cara e necessaria è l’evento che può provocare il crollo dell’equilibrio instabile: appare uno scandalo irreversibile, una crisi senza orizzonte e apre la strada all’allontanamento dal mondo, al delirio della negazione, all’omicidio distruttivo furia e suicidio. Ma proprio sull’orlo del rischio estremo, l’uomo primitivo impara a difendere la sua precaria esistenza: nasce il controllo rituale della sofferenza, del pianto collettivo. Il rito – e le molte tecniche che incarna – può ora eseguire l’intera tastiera della disperazione, ma proprio in modo controllato. E l’uomo viene riportato in vita, mentre la fastidiosa presenza dei morti si trasforma in un’ombra protettiva.