cm. 19,5 x 13, pp. 246, copertina rigida con sovraccoperta, in condizioni molto buone.
J.P. Donleavy è l’unico scrittore attuale che sappia far parlare con naturalezza ai suoi personaggi la lingua di Joyce. Anche per questo non si può restare indifferenti di fronte a queste storie fra Europa e America, New York, Dublino e Londra. Ci si può scandalizzare, ci si può irritare, ma non si può interrompere la lettura perché i racconti cli Donleavy assomigliano a dei sogni: luoghi e umori cambiano a vista, si dissolvono uno nell’altro, si legano in una catena. Ma come i sogni, non si possono interrompere a volontà. Dentro a questi sogni c’è una testimonianza: da questa specie di collisione fra vivacità del linguaggio e disperazione delle accuse esce il ritratto di un’epoca inquieta, dominata dall’Eros, in cui uomini e donne si sono liberati dai tabù ma non riescono ad accettare l’esistenza con naturalezza. I racconti di questo volume hanno tutti il marchio della verità, della più sconcertante verità: il confronto di un uomo con se stesso. Attraverso rumorismo, con l’avallo di un sorriso complice, al lettore accade di riconoscere personaggi come Mister S o Sylvia o Hugo. Il suo torto era stato di crederli insignificanti. Donleavy gli dimostra che la vera originalità è la loro, con i loro pudori e le loro parolacce, come le nostre. Di questa raccolta è stato detto dalla critica americana che rappresenta gli aspetti lirici (ma quanto beffardi e spesso amari) che fanno da contrappunto a quelli epici di Zenzero, di Un uomo singolare e delle Bestiali beatitudini di Balthazar B, tutti già pubblicati anche in Italia.