Caratteristiche e condizioni:
cm. 24,5 x 15, pp. 202, brossura, in ottime condizioni.
Contenuto:
Dalla Felix Austria di Cecco Beppe all’Italietta di De Gasperi e di Togliatti: è lunga e tumultuosa la vita e la carriera teatrale di Angelo Cecchelin, triestino di Cittavecchia (“fora Citavecia no respiro”) che per decenni calca i palcoscenici dei varietà della sua città e di tutta Italia. Linguazza che va dritto all’obiettivo e colpisce con sarcasmo bruciante come una frustata, con vitalità che niente spegne o riduce, con ironia ignara di ogni riverenza e timore i potenti di turno. In questo libro viene ricostruito, con appassionato rigore, l’incredibile curriculum di Cecchelin: si dispiega tra la Trieste asburgica e quella che, dopo la prima guerra mondiale, diventa italiana. Prosegue durante il ventennio fascista quando, primattore e capocomico di compagnie teatrali come la “Triestinissima” salutate in tutta Italia da notevole successo, conosce gli applausi del pubblico e l’ostilità del regime. La censura fascista saluta le comparse in scena di Cecchelin con ottantasei diffide, tre arresti, due processi, tre anni di vigilanza speciale, tre sospensioni dell’attività delle sue compagnie. Ma Linguazza non si lascia fermare. Nel bel mezzo dei trionfi mussoliniani e mentre il regime, a Trieste, distrugge a colpi di ruspa la sua amatissima Cittavecchia, portando all’estinzione il mondo popolare delle osterie che hanno fatto da vivacissimo sfondo a tutta la sua esistenza, i caffè frequentati da James Joyce e da Saba, da Cergoly e da Biagio Marin, Cecchelin mette in scena PNF. Non Partito Nazionale Fascista ma Povero Nostro Franz: un omaggio ai tempi passati e alla rispettosa convivenza, a dispetto di ogni nazionalismo. Ma i tempi giocano contro la tolleranza e l’ironia. Arriva la guerra. E, per Cecchelin, un’ennesima condanna per offesa al Duce, commentata entusiasticamente dai giornali del regime: “Il teatro di prosa si è liberato di un figlio degenere, la musica si è purificata di una nota fessa, l’umorismo si è sgravato di un feto.”
L’occupazione tedesca di Trieste (alla Risiera di San Sabba viene allestito un campo di sterminio nazista) segna pagine tragiche di un conflitto che non conosce pietà. Quindi giunge la Liberazione, avvelenata dal dolorosissimo calvario dei “quaranta giorni” durante i quali, in attesa dello stanziamento degli Alleati, Trieste è occupata dalle truppe di Tito e colpita quindi da spietate rese dei conti, da selvaggi “infoibamenti.”
Trieste, amministrata dagli Alleati sino al 1954, è un avamposto della “guerra fredda.” Dolorosamente diversa da quello scenario, popolare e frizzante, che Cecchelin ha tanto amato. Un nuovo arresto, per presunte vendette orchestrate dopo la Liberazione contro un suo persecutore fascista, costa nel 1947 a Cecchelin due anni di carcere pieno. Gli anni successivi lo vedono sempre più lontano dalla sua città, sempre più ignorato dal mondo dello spettacolo.
Il mondo della televisione e del cinema non erano fatti per un artista che sino alla sua morte, avvenuta a Torino nel 1964, aveva fatto dell’improvvisazione e del rifiuto di ogni conformismo la sua indomabile ragione di vita, la sua inesauribile e briosa risorsa per ridere. E far ridere.