cm. 20 x 12, pp. 120, brossura, in ottime condizioni.
«In un momento di aspettativa indistinta di qualcosa di nuovo, di confusione di idee, di mala contentezza del presente, si generalizza il convincimento che bisogni innanzitutto fare qualcosa. E, altrettanto naturalmente, non si pensa a guardare se la responsabilità di quel che accade sia anche, in grande o piccola parte, nostra…». Tra la fine del 1942 e Finizio del 1943, prima che gli eventi susseguitisi all’armistizio lo costringessero a riparare fortunosamente in Svizzera, Luigi Einaudi scrisse per se stesso una sorta di lungo memorandum, a cui affidava sia il suo giudizio sullo stravolgimento del sistema istituzionale ed economico operatosi durante il ventennio fascista, sia le sue speranze sul futuro della democrazia italiana, che avrebbe voluto vedere ricostruita sulle basi di un nitido e rigoroso liberalismo. Non destinate originariamente alla pubblicazione, queste pagine possono essere lette oggi come un vero e proprio vademecum di un liberale del Novecento, inteso «non come l’insegna di un partito ma come una concezione del mondo e della storia» (Norberto Bobbio). In questo saggio si trovano tutte le qualità migliori dell’Einaudi analista e polemista, dalle osservazioni impietose dedicate al parlamento e alle istituzioni, alla riflessione sulle debolezze e le fragilità dell’Italia unitaria determinate dalla carenza di spirito liberale. Il risultato è un inedito e chiaro manifesto del. liberalismo, un convincimento morale, un’indicazione di programma: «liberalismo è quella politica che concepisce l’uomo come fine… e se l’uomo non è un mezzo ma è il fine, si deve fare tutto ciò che porta al perfezionamento dell’uomo, si intende dell’uomo vero, dell’uomo completo, che è quello vivente nella società dei suoi simili».