Caratteristiche e condizioni:
cm. 23,5 x 16,5, pp. 440, copertina con sovraccoperta, i ottime condizioni.
Contenuto:
Dalla piazzetta di San Giacomo a piazza Cavana, dalla Portizza a San Giusto, Cittavecchia ripercorre la romana Tergeste con le sue mura turvite fatte costruire nel 33-32 a.C. dal triumviro Ottaviano, diventato Augusto imperatore dopo aver sconfitto Antonio. Il Teatro Romano, costruito da Quinto Petronio Modesto agli inizi del I secolo ai limiti della cinta muraria tergestina, con il suo porticato che correva lungo la riva del mare, è all’origine dell’antico toponimo Rena Vecia. Tante sono le vestigia romane di Cittavecchia, dall’Arco di Riccardo alla grande basilica sulla sommità del colle di San Giusto, da secoli interrata e affiorata nel 1929, che da tempo era diventata una grande cava di pietra, utilizzata nella costruzione della cattedrale di San Giusto, delle attigue cappelle di S. Giovanni Battista e di S. Michele del Carnale e più tardi anche nella fabbrica del castello, iniziata dai veneziani. E ancora oggi continuano ad affiorare reperti di notevole importanza, come negli scavi archeologici del 2000, rientrati nell’iniziativa comunitaria Urban, che hanno rivelato una domus romana con pavimenti musivi e pareti affrescate in piazza Barbacan e soprattutto, tra via dei Capitelli e via Crosada, i basamenti decorati e le parti basse di quattro imponenti colonne di un grande arco monumentale risalente al I secolo d.C.
La città vecchia, entro le mura, nel Trecento comprendeva tre quartieri nella parte bassa: Riborgo che si affacciava sulle saline, Mercato al centro verso il mare e Cavana sulla destra. Sulla parte alta del colle c’erano i quartieri di Castello e di Caboro, quest’ultimo in gran parte occupato da verzieri. Entro le mura erano affacendati i “panicocoli” o fornari, le “pancogole” o venditrici di pane, i “caligari” o calzolai, i “brigenti” o facchini, i “pilipari” o conciapelli, i “bragheri” o fabbricanti di calzoni, i “cappellari” o cappellai, i “zereri” o fabbricanti di candele e ancora “murari” o capimastri, marangoni, lapicidi, bottari, beccari, venderigule, bottegari, apotecari, tavernieri, barbieri, tessitori, orafi. E non mancavano le “curiali” o meretrici e, scritturati in occasione di feste civili e religiose, “zugulari” o istrioni e “pifari” o trombettieri. Si racconta la storia degli ebrei di Cittavecchia, dall’arrivo dei primi feneratori, al primo confinamento nel ghetto della Corte Trauner, chiamato poi “Ghetto vecchio” quando venne creato il “Ghetto di Riborgo” dove sorse il loro Tempio Maggiore o “Scola grande N. 2” che si affianco alla “Scola piccola N. 1”, alla “Scola minore N. 3” e alla “Scola Vivante N. 4”. I primi tre scomparvero con le demolizioni di Cittavecchia negli anni 1934-37, demolizioni previste per un risanamento radicale che ha portato alla scomparsa di diciasette androne e di venticinque vie, oggi visibili solo nelle foto scattate tra il 1912 e il 1947 da Pietro Opiglia, custode del Comune diventato fotografo per conto dei tre direttori dei Civici Musei di Storia e Arte Puschi, Sticotti e Rutteri.
Il volume parla delle chiese, delle antiche cappelle scomparse e delle confraternite e ancora delle scuole, del Collegio dei Gesuiti, del Seminario di S.Francesco Saverio, del Ricreatorio Comunale di S. Giusto, delle attività commerciali