cm. 20,5 x 13,5, pp. 140, brossura, in buone condizioni.
Da sempre la guerra è stata una parte ineliminabile dell’esperienza e dell’immaginario di ciascuno. Oggi non è più così. Per lo meno in Europa, quelli che non l’hanno mai conosciuta sono ormai la maggioranza. Le ultime due o tre generazioni, e quelle che verranno, non possono pensare alla guerra se non nella forma totalmente passiva e senza scampo della catastrofe atomica. ln un certo senso il pacifismo è diventato obbligatorio, giacché un conflitto nucleare sarebbe il male assoluto. Ma questa realtà non dovrebbe indurci a demonizzare anche le guerre dei tempi andati. Certo, esse provocavano distruzioni più o meno estese, ma insieme favorivano il ricambio delle classi dirigenti, funzionavano da calmiere demografico, stimolavano i progressi della tecnica, erano una forma, sia pure rozza, primitiva e feroce, di contatto sociale e giuridico tra popoli e civiltà diversi. Per di più la guerra soddisfaceva alcuni profondi bisogni psicologici: sfogava istinti repressi attraverso il capovolgimento di una parte delle regole a cui si obbedisce in tempo di pace, creava una solidarietà sociale e nazionale che si traduceva poi sul campo in una solidarietà concreta tra individui, metteva alla prova, faceva avvertire meno il tedio della vita, riduceva la realtà all’essenziale. Se questa era la guerra, è legittimo chiedersi quali conseguenze possa avere la sua scomparsa sul carattere e sulla vita individuale e collettiva dell’uomo nei paesi industrializzati. Come sono state sostituite le funzioni della guerra? Come abbiamo riempito questo vuoto? E l’abbiamo poi riempito? O la guerra in qualche maniera, sotterranea, carsica, inconfessabile, ci manca? Sono le domande che Massimo Fini ha il coraggio di porsi e di porre ai lettori in questo stringente pamphlet, che rischia di turbare e creare scandalo non per una volontà di provocazione dell’autore, ma perché il parlare di guerra in termini che non siano di semplice e inarticolata condanna è diventato il tabù di un’epoca senza tabù.