cm. 21,5 x 15,5, pp. 224, copertina rigida con sovraccoperta, fioriture, in buone condizioni complessive. Conservata all’interno una carta intenstata dalla casa editrice Einaudi con un messaggio autografo dell’autore.
Un piccolo gruppo di pittori e scultori, in un momento di intensa restaurazione e ritorno alla tradizione, come furono gli anni trenta in Italia, affronta l’esperienza astratta, ponendo in campo i problemi, le aporie e le difficoltà di ciò che si suole chiamare «l’avanguardia», e toccando i temi di fondo di quest’ultima: l’impossibilità di far coincidere programmi e oggetti poetici, l’ambiguità di un rapporto politico con la situazione generale e col proprio lavoro, la discontinuità e la dispersione di una qualche tradizione moderna che si ponga come piattaforma o entroterra per affrontare i vari problemi. Essi, cioè, evidenziano le limitazioni e le negazioni che danno di alcune vicende di rottura o di punta un’immagine sospesa, senza soluzioni dialettiche o critiche, esemplare nella sua irresolubilità.
Ma proprio per questo, tra gli «astratti» milanesi e comaschi, maturano una serie di esperienze che peseranno con particolare incidenza sul lavoro delle arti figurative più vicine a noi e ai nostri anni: la crisi di una ragione e di una funzionalità capaci di essere maestre d’esperienza, la constatazione di un individualismo fatto di intense aperture e fratture, uno sperimentalismo continuo. Il libro cerca, inizialmente, di fissare alcuni degli atteggiamenti ideologici, dei dati di poetica e delle convenzioni che gli «astratti» ereditano e entro cui si muovono; passa quindi ad esaminare la linea di attività che, in quanto gruppo, gli artisti milanesi e quelli comaschi si sono dati negli anni fra il 1934 e la guerra; infine traccia una serie di medaglioni delle esperienze che ciascuno dei protagonisti – da Reggiani a Veronesi, da Licini a Melotti, da Soldati a Fontana – ha portato innanzi.