cm. 32 x 25, pp. 272, copertina rigida con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Della vita dei due fratelli, Pietro e Ambrogio, non sappiamo nulla. In base a ricostruzioni basate su un nome in un documento – che la sorte ha distrattamente conservato – o sulla data più antica di una tavola firmata-selezionata dal caso – possiamo ritenere che Pietro sia nato in torno al 1280 e Ambrogio intorno all’ultimo decennio del XIII secolo. La peste del 1348 probabilmente falciò la vita di entrambi i fratelli; ci consente però di ascoltare la voce di Ambrogio il testamento che egli personalmente redasse durante la scura mortalità e pistolentia», come egli ebbe a esprimersi. Che un pittore fosse in grado di redigere un circostanziato documento conferma la fama di uomo colto di cui Ambrogio godeva, apprezzato in maniera entusiastica da Lorenzo Ghiberti, che lo definisce singularissimo maestro», «huomo di grande ingegno, nobilissimo disegnatores, per concludere: «et altrimenti dotto che nessuno degli altri». Il Vasari ammirava invece moltissimo Pietro: fu … per tutta Toscana chiamato e carezzato, avendolo fatto conoscere primieramente le storie che dipinse a fresco nella Scala, spedale di Siena, nelle quali imitò di sorte la maniera di Giotto. Tuttavia in questi affreschi il Vasari non riuscì a leggere correttamente il nome di Pietro né comprese il nesso parentale con Ambrogio; doveva essere un’i scrizione ben leggibile, dato che ci è stata conservata da Ugurgeri Azzolini che la trascrisse nel 1649: Hoc opus fecit Petrus Laurentij, et Ambrosius eius fraters.
Non resta dunque che scrutare le opere rimaste dei due pittori, per ricongiungerci, idealmente, all’ammirazione di cui godettero presso i contemporanei, pur nella triste consapevolezza della perdita di interi, lodatissimi, cicli.