cm. 18 x 11, pp. 412, brossura, in ottime condizioni.
Questo diario della memoria, da Caporetto a El Alamein, un quarto di secolo fra due tragiche date della nostra vita nazionale, ha una sua storia, lunga 35 anni. Fidia Gambetti, da oltre un anno prigioniero di guerra nell’Unione Sovietica, cominciò a scrivere nella baracca di un campo di concentramento in Mordovia verso la fine del 1943. Un esule politico di Sesto S. Giovanni era riuscito a procurargli due quaderni di scuola, un pennino spuntato frammenti di matite copiative da sciogliere in acqua per un pallido inchiostro. E lo stesso portò a Mosca, alla redazione de «L’Alba», giornale dei prigionieri italiani, il primo quaderno fittamente gremito di minutissima scrittura in tutte le facciate. Grieco, Amadesi, Robotti e Germanetto, redattori del foglio, decisero di pubblicare il diario a puntate, in appendice come un romanzo, adottando il titolo proposto dall’autore: Una generazione sbagliata. Ne uscirono ventisette puntate (fino all’anno 1931). Rientrato dalla prigionia il 17 novembre 1945, si rimise subito al lavoro per riscriverlo da capo in una nuova meditata stesura. Giunto alla pagina 110 si fermò, rilesse e strappo tutto. Perché, come scriverà poi ne La grande illusione: «le ferite sono ancora aperte, colano sangue e pus». Soltanto alla fine del 1963 Fidia Gambetti riprende il filo del suo «lungo viaggio dentro il fascismo» e lo porta a termine nella presente stesura, pubblicata dalla nostra Casa editrice nel marzo del 1967, nella collana «Testimonianze fra cronaca e storia». «Non chiediamo pietà e neppure comprensione per i nostri errori» scrisse nella presentazione Ruggero Zangrandi. «Li esibiamo, come sopra un tavolo anatomico, perché i giovani imparino a distinguere un decesso naturale da quello provocato da un avvelenamento o da un aborto; guai o delitti che possono sempre verificarsi.