Caratteristiche e condizioni:
cm.18 x 12, pp. 160, brossura, in ottime condizioni.
Contenuto:
Piero Cavallero di Torino ha capeggiato una banda di rapinatori che ha svaligiato banche dall’aprile del 1963 all’ottobre del 1967. La sua carriera si è conclusa con la strage di Milano, con i morti e con i feriti seminati durante la vana fuga per la città. Non c’è il minimo dubbio che egli meriti il nome di bandito, ma è altrettanto certo che egli è un bandito di un tipo particolare come lo furono Bonnie e Clyde, personaggio estremo di un’epoca e di una società. Cavallero è il figlio anomalo, se volete, ammalato, di una rivoluzione fallita e di una generazione frustrata, il figlio di una periferia operaia che mancò la rivoluzione operaia e che ha visto degradarsi in conformismo burocratico lo slancio della guerra partigiana. È ovvio che non esiste fra il contesto sociale e il bandito Cavallero un legame diretto, è chiaro che non è stata la sua gioventù rossa a fare di lui un rapinatore; ma non si capisce il personaggio nelle sue sfumature, nelle sue pieghe più segrete, nei suoi rimorsi se non si parla dell’ambiente in cui è cresciuto. E questo ambiente vuol dire la barriera più proletaria di Torino, la barriera di Milano, vuol dire il ceto operaio più politicizzato in Italia, vuol dire una tradizione piemontese dove l’autoritarismo militare sopravvive e coesiste con l’impegno sociale. Giorgio Bocca è forse lo studioso del costume italiano più naturalmente adatto a raccontare un personaggio come Cavallero, perché conosce bene il proletariato torinese ed è vissuto a Torino fra il 1945 e il 1954, negli anni della formazione di Cavallero. Le informazioni che stanno dietro questo racconto sono tutte rigorosamente autentiche, raccolte fra i compagni di gioco, di lavoro, di partito e di delinquenza di Piero Cavallero. Non poteva mancare a una vicenda che situa i suoi episodi più drammatici a Milano, un quadro della criminalità e della corruzione milanesi, che danno a questo profilo la compiutezza di un saggio sociologico.