Caratteristiche e condizioni:
cm. 24 x 17, pp. 390, brossura, in ottime condizioni.
Contenuto:
“In ogni epoca è la politica del momento a pretendere di orientare la ricerca storica. Gli studiosi di frontiera impegnati da più di vent’anni a ribadire le ragioni di chi la guerra l’ha sofferta e non voluta, oggi si sentono molto soli in un’Italia in cui sembrano prevalere, in sede storiografica, orientamenti liberalnazionali e sostanziali rivalutazioni del mito di Gabriele D’Annunzio.
Nel naufragio degli ideali solidaristici alla base delle lotte sociali del secolo scorso, subentra oggi, in Italia ed in varie parti d’Europa una forte ricerca d’identità storica, culturale, linguistica, antropologica. All’opposto, la caduta delle ideologie sembra azzerare la memoria anche intorno a quel grande evento, che fu il primo conflitto mondiale, in gran parte del nostro paese.
Non è così nelle ex-terre irredente. Giorgio Milocco, straordinario portavoce della memoria storica collettiva nell’ex Friuli austriaco, fa comprendere una volta di più la complessità ed il fascino del retaggio storico-culturale della sua terra, motivato in tutti i suoi lavori dall’amore per le radici e da un’inesauribile passione per la ricerca. La sua ultima fatica, oltre a confermare gli obiettivi di fondo presenti nella sua copiosa produzione riguardante la Grande Guerra, esprime uno sforzo di contestualizzazione e di sintesi, in cui i destini dei “senza storia”, microcosmi in movimento, su vasti spazi, sono parte di un capitolo di storia internazionale. Per riuscire nell’intento, esamina un’estrema varietà di fonti documentarie ed una ricca bibliografia che tiene conto in modo produttivo degli studi compiuti finora in Italia ed in altre aree dell’ex impero asburgico. I percorsi di guerra di quei figli del Friuli orientale comuni a quelli dei goriziani, cormonesi, triestini, istriani di lingua italiana, slovena, croata, emergono, anche in termini quantitativi, all’interno di un ampio quadro di riferimento strutturato in modo da evidenziare fasi decisive o inedite, di quell’esperienza.
Passi poco noti, ma di grande interesse, riguardano ad esempio la ristrutturazione dell’esercito austroungarico avvenuta nel 1868, allorché, con la creazione della duplice monarchia, si costituirono un esercito comune e due eserciti nazionali, uno austriaco (Landwehr) ed uno ungherese (Honvéd) due milizie popolari (Landsturm). L’attenzione rivolta dall’autore alle modalità del servizio di leva rese esplicite da documenti riferiti concretamente al territorio, chiarisce aspetti trascurati dalla storiografia più autorevole. Dati inoppugnabili ci confermano nell’area esaminata, una sostanziale fedeltà dei coscritti alla corona asburgica ed un limitatissimo interesse nei confronti dell’irredentismo italiano, più avvertito a Gorizia. La ricerca quantitativa sul numero dei partenti e dei dispersi con cui Milocco verifica e modifica le cifre emerse finora dagli studi più accreditati, costituisce un altro merito indubbio dell’autore. L’indagine sulle perdite del reggimento 97 offre preziose indicazioni di metodo agli studiosi intenzionati ad estendere la ricerca ad altre unità in cui furono inquadrati i militari dell’ex-Litorale.
Riscontri inediti di grande interesse riguardano alcune navi della società austriaca di navigazione, il Lloyd, i cui equipaggi catturati dagli inglesi, furono ridotti in prigionia da questi ultimi. Il caso più noto è quello del Barone Koëber che, ribattezzato Huntspill, fu adibito al rientro dei prigionieri austro-ungarici, aderenti alle proposte della Missione Militare Italiana in Russia, attraverso il porto di Archangel’sk. Milocco ne documenta inediti retroscena. Tra i paragrafi più originali del volume vi è sicuramente quello intitolato I nostri marinai. Naviganti reclutati a Trieste, Grado, Staranzano, Muggia, in Istria ed in Dalmazia furono protagonisti di un singolare capitolo di storia della guerra su navi a bordo della Kaiserin Elisabeth posta ai comandi del triestino Riccardo (Richard) Makovič.
Le vicende di quell’equipaggio si intrecciano con le mire colonialistiche dell’Austria-Ungheria e della Germania bismarckiana in Cina, tema che aveva già impegnato l’autore in studi precedenti. Richiamandosi al volume di Renate Bash Ritter “L’Austria sui mari del mondo”, Milocco ci informa che la Kaiserin Elisabeth poco prima dello scoppio delle ostilità era stata inviata come nave stazionaria dal porto di Pola ai mari della Cina, per tutelare gli interessi commerciali dell’Austria. L’alleata Germania, a seguito della concessione strappata ai cinesi nel 1898 e grazie ad una massicci investimenti effettuati nel corso di poco più di un ventennio, aveva trasformato una vasta area della regione Shandong in una vera e propria base navale prussiana. Gli interessi antagonistici tra gli Imperi Centrali, l’Inghilterra e Giappone, avrebbero determinato un blocco navale che obbligò la Kaiserin Elisabeth a rimanere a Tsing-Tau, insieme ad una cannoniera tedesca. Mentre altre navi germaniche lasciavano la baia, inglesi e giapponesi sbaragliavano l’avamposto austro-germanico che fu costretto ad arrendersi per mancanza di viveri e munizioni il 7 novembre 1914. Gli austrotedeschi scontarono 199 morti, 600 feriti e 4.250 prigionieri. Gran parte di essi, trascorso un periodo di detenzione in Cina ed in Giappone, riuscì a rientrare in patria nel 1919, analogamente a quanto accadde, tra il 1919 ed il 1920, agli ex austro-ungarici ingaggiati nel Corpo di Spedizione Italiano in funzione antibolscevica rimasti a Vladivostock, in attesa del permesso di rimpatrio da parte delle autorità militari italiane. L’avventurosa anabasi, compiuta via Honolulu-New York o più spesso attraverso il periplo dell’Asia è rievocata, con nuovi dettagli, anche in questo volume.
La ricerca si completa con importanti riferimenti al difficile dopoguerra scosso da lotte sociali brutalmente represse dalle Camicie Nere, al servizio degli interessi del capitalismo industriale ed agrario. Per molti reduci il rientro nella vita civile avvenne solo dopo un altro doloroso periodo di prigionia trascorso in campi di internamento allestiti a scopo “rieducativo” dalle autorità militari italiane. Tra questi il campo di Bagnaria Arsa su cui il nostro apre una pagina nuova così come non trascura il tema controverso e poco trattato dell’identità politica dei militari sloveni e croati, impegnati al fronte russo, utilizzando fonti slovene.
Le ricerche che illuminano da molti anni la vita di Giorgio Milocco indicano emblematicamente come al confine orientale decenni di retorica nazionalista non siano riusciti a cancellare identità forti e senso d’appartenenza derivanti da una storia plurisecolare diversa da quella del Regno Sabaudo.”
Marina Rossi