cm. 20 x 13,5, pp. 142, copertina rigida con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Giovanni Scoto, un irlandese, fu tra l’846 e l’870 al con tro della vita intellettuale alla corte di Carlo il Calvo, «l’imperatore filosofo». Tradusse dal greco il corpus di Dionigi l’Areopagita, Gregorio di Nissa e Massimo il Confessore, rinnovando la terminologia filosofica d’Occidente. Scrisse il de divina praedestinatione e il Periphyseon. Fuse la tradizione platonica col cristianesimo, così che il platonismo diventò, in lui, la forma naturale della rivelazione cristiana; e incarnò gli sviluppi più arditi della teologia negativa. Egli ricerca il Primo Principio, che fonda l’Essere e sta al di sopra dell’Essere: tenebra che irradia luce. «Tutto ciò che si comprende e si sente non è altro che apparizione del non apparente, manifestazione dell’occulto, affermazione della nega zione, comprensione dell’incomprensibile, parola del l’ineffabile, accesso dell’inaccessibile.» Il mondo nel qua le viviamo è un paradosso vivente. Da un lato, è divino: «questa pietra e questo legno per me sono luce»; non c’è frammento di realtà, per quanto umile e insignificante, che non partecipi dell’eterno raggio divino. Al tempo stesso, il mondo è radicalmente altro da Dio: opacità, caduta, ombra, separazione. Quanto all’umanità, il suo rappresentante più alto, Giovanni evangelista, è superiore alle gerarchie angeliche: come un’aquila spirituale vola con le ali veloci della più inaccessibile teologia, sollevandosi sopra ciò che può essere compreso dall’intelligenza, fino a spingersi all’interno di ciò che trascende ogni significato. Scritta probabilmente tra l’865 e l’870 e molto diffusa nel Medioevo, l’Omelia sul Prologo di Giovanni è uno dei capolavori del la lingua latina: un testo filosofico-poetico che ha la concentrazione degli scritti presocratici e taoisti; una piccola gemma radiosa, che raccoglie in sé i misteri della teologia trinitaria, della creazione, della natura, dell’eterno e del tempo, e della via mistica a Dio.