cm. 22,5 x 15, pp. 464, brossura con sovraccoperta, in ottime condizioni.
L’opera di Cesare Pavese gode nel mondo di una vasta e meritata fortuna. In Italia si sono susseguite per anni nuove edizioni. All’estero sono numerosissime le traduzioni, e continuo l’interesse della critica e di fedeli ammiratori. Tuttavia, nonostante alcune buone monografie letterarie e la ben nota biografia del Lajolo, rimane ancora da afferrare il nodo morale e intellettuale che ha fornito un prestigioso alone all’opera narrativa dello scrittore, assolutamente essenziale sia per intenderne le ambizioni di avanscoperta, sia per commisurarlo con i risultati artistici. Il mito Pavese intende dare un contributo in questo senso. Non è né una biografia, né un’opera didascalica, né una monografia specialistica. È un’opera di insieme in cui alla interpretazione della figura morale e intellettuale di Pavese si accompagna la ritessitura vasta e capillare di tutti i motivi in gioco fra la cultura americana e l’europea che condussero lo scrittore alla sua singolare «poetica del mito» e al suo romanzo à double face. Rivivono in queste pagine l’America di Lawrence, Levin, Matthiessen – oltre che di Cecchi, Vittorini, Pintor. Nonché l’Europa della prima ondata di interessi per il mito, dominata dall’influenza di Freud e Cassirer; e delle prime risposte della sensibilità poetica all’acquisita affinità fra mito e poesia – da Joyce a Mann. Ampliato e distanziato lo sfondo, la figura di Pavese cessa di essere quella di un immediato contemporaneo. Il poeta d’oggi si trova a vivere con dolore il suo forzato adattamento alla società industriale. Pavese si provò a viverlo come sforzo di moralità nuova, a livello di sublimazione etica. Prima della protesta dei beatniks e dell’incompatibilità attuale con l’ordine dell’industria, sempre più spiccata oggi nell’atteggiamento rivoltoso dei giovani europei, Pavese tentò di attuare un suo progetto razionale di comportamento «integrato», progetto che doveva infrangersi contro lui stesso allorché la ricerca intellettuale lo portò oltre, a riconoscere e ammettere il ruolo dell’inconscio e un inadattamento più profondo dell’individuo alla società. Un tentativo di accettazione condizionata dall’inconscio caratterizzò (altra integrazione difficile) l’esito della sua ricerca intellettuale, vissuta perciò junghianamente fra Frazer e Freud, antropologia e psicanalisi. La poetica del mito è riveduta capillarmente, forse per la prima volta, come un collage di motivi prefreudiani e di motivi ispirati dallo Zeitgeist freudiano, e ricollocata nel tempo storico, ben definito, del primo violento incontro e scontro fra il razionalismo della tradizione umanistica (e, nel secondo dopoguerra, del marxismo) e il dirompente umanesimo freudiano. L’iter dello scrittore è ridisegnato in una sorta di ingrandimento mediante un discorso libero e ampio e perciò accessibile a tutti, anche all’ipotetico lettore che di Pavese non avesse letto una sola riga.