cm. 22 x 14, pp. 574, copertina rigida con sovraccoperta, alcune sottolineature a matita, in buone condizioni.
Studioso di diritto e di scienze naturali e fisiche, bibliotecario e gran viaggiatore tra Inghilterra, Francia e Italia, lo scozzese David Hume, nato nel 1711 a Edimburgo dove morì nel 1776, fu come storico e filosofo uno dei grandi protagonisti della cultura europea del Settecento. Pubblicò l’ampio Trattato della natura umana, attirandosi pesanti accuse di ateismo e scetticismo, nel 1739-1740. Circa dieci anni dopo, pubblicò le Ricerche sull’intelletto umano, sui principi della morale – che vogliono essere una riproposizione più vivace e sintetica delle tesi del Trattato, con un arricchimento della polemica personale di Hume nei confronti della religione.
Le Ricerche stanno ai vertici speculativi del pensiero humiano e costituiscono nello stesso tempo una delle espressioni più lucide, vivaci e appassionate della riflessione empiristica e illuministica britannica. Hume tratteggia con grande chiarezza la sua concezione dell’uomo, inteso come un fluire continuo – ora impetuoso, ora lento e calmo – di impressioni e di idee, come un impasto di emozioni e di abitudini che condizionano il suo essere, che plasmano il suo pensare e il suo stesso agire. Il filosofo, per di più, sottolinea l’illusorietà di ogni conoscenza che pretenda di sottrarsi al vincolo dei sentimenti e dell’esperienza, enuclea i limiti che inficerebbero in particolare la metafisica di tipo tradizionale, e cerca di colpire a fondo la credenza nei miracoli e nel soprannaturale, nella possibilità di pervenire con la sola ragione a fondare i valori morali e a risolvere così i vari problemi politici e sociali. A spingere l’autore delle Ricerche verso queste tesi non è solo il tentativo di applicare il metodo newtoniano in filosofia, ma forse, ed ancor più, la sua personale inclinazione a dare una netta prevalenza alla passione e al sentimento sull’intelletto. Questa dipendenza dell’intelletto dal sentire impedisce all’uomo – di fronte ai dubbi e ai tentennamenti della ragione – di cadere in una disperazione totale, e lo provvede delle certezze pratiche di cui egli ha bisogno per vivere. Il sentire, che costituisce per l’uomo un limite pressoché invalicabile, in definitiva funge, così, nell’antropologia humiana, anche da autentica ancora di salvezza.