cm. 21,5 x 13,5, pp. 110, brossura, sporadici segni a penna, in buone condizioni.
Come si forma nella storia della cultura la convinzione che una determinata opera d’arte è degna della nostra attenzione? Attraverso quali processi le nostre risposte estetiche sanciscono più o meno definitivamente la consacrazione, o la canonizzazione, di questo o quel prodotto artistico? Intorno alla formazione di tali giudizi, Kermode – che si allontana nella sua indagine dalla convinzione tradizionale di un Vero nascosto dietro le opere, afferrabile una volta per tutte incentra la sua argomentazione critica, scegliendo i propri oggetti nel campo della storia dell’arte, della storia letteraria, della teoria dell’interpretazione. Le «forme d’attenzione» che Kermode delucida si riferiscono da un lato al recupero ottocentesco di Botticelli al quale, dopo secoli di oblio, venne attribuito quello status di grande pittore che ancora oggi informa la nostra percezione del più pagano dei quattrocenteschi, dall’altro alla canonicità di un’opera come l’«Amleto» di Shakespeare che, come fa intravedere la lettura retorica di Kermode, agli assalti interpretativi sempre nuovi e diversi di generazioni di critici oppone la propria perenne fertilità di significati. Se non è dunque possibile distinguere giudizi fondati sui fatti e dunque irrevocabili da giudizi legati al costume, al gusto, alle teorie, e perfino al caso, richiamandosi a Gadamer e alla inevitabilità del pregiudizio, Kermode sembra concludere che, al di là del labile e fallace statuto dell’interpretazione ciò che conta è preservare l’opera d’arte dall’oblio sempre incombente.