cm. 22,5 x 14, pp. 150, copertina rigida con sovraccoperta, leggera abrasione al piatto posteriore, in buone condizioni.
Che cosa può accadere a un intellettuale un po’ nevrotico, che ama abbandonarsi all’onda dei propri monologhi interiori se, appena atterrato a Pechino, qualcuno gli sottrae – con il passaporto – anche la relazione che deve leggere al Primo Congresso Internazionale su Confucio? Chi è in realtà Gwendolyn, sedicente archeologa americana, nelle cui braccia capiterà il mancato relatore, in un balletto sempre più indiavolato d’intoppi, disguidi, disorientamenti erotici? E ancora, il corpulento professor Muller (un altro americano che finisce nel letto del protagonista nel giro di 24 ore), è davvero un sinologo della Brandeis University? Un po’ vittimista, un po’ narciso e seduttore, il singolare pellegrino pechinese di Krüger crede di poter ancora trovare una salvezza nel linguaggio: finché parliamo, il mondo esiste, deve continuare ad esistere da qualche parte, non importa in che modo. Ma, come ha scritto Claudio Magris quando Perché Pechino? è uscito in Germania, «il protagonista del romanzo contribuisce anch’egli attivamente a quella chiacchiera universale che egli stesso depreca e satireggia; appartiene a quella Internazionale di intellettuali che passano la vita fra convegni e tavole rotonde, volando da un aeroporto all’altro per parlare di tutto e su tutto, e in primo luogo dei problemi creati dall’invasione dei mass-media. Quella tribù che parla di continuo si sposta in tutto il mondo, ma conosce del mondo soltanto grandi alberghi interscambiabili, sale di conferenze e posti di controllo dei passaporti; seduti in aeroplano, questi autentici provinciali – come li chiama Canetti – portano nei cieli le loro valige di opinioni e vedono soltanto la cortina di nuvole sotto di loro…