Caratteristiche e condizioni:
cm. 24,5 x 17,5, copertina rigida con sovraccoperta, in condizioni molto buone.
Contenuto:
«Trieste non è soltanto una città quasi esclusivamente ottocentesca, almeno nel suo centro; ma è anche il solo esempio cospicuo, e anche illustre, di città ottocentesca che offra l’Italia. Essa costituisce dunque un unicum, una città da conservarsi in quella che è la sua fisionomia peculiare; la quale, formatasi entro un periodo storico che abbraccia lo stile neoclassico e sconfina nel liberty, riflette l’epoca dei suoi traffici, della sua vitalità civica e politica, nonché della sua fioritura intellettuale e letteraria». Così Pier Antonio Quarantotti Gambini, puntuale interprete delle più salienti «bellezze di Trieste».
L’enunciato dello scrittore capodistriano può valere come motivazione dell’idea che ha indotto il Lions Club di Trieste a proporre al visitatore un itinerario neoclassico; un invito a fissare più chiaramente, nell’impressione e nel ricordo, le fattezze architettoniche peculiari del centro urbano con l’ausilio di qualche dato conoscitivo. Ecco le targhe gialle, apposte bene in vista sulle facciate degli edifici più significativi, con le loro schematiche epigrafi: la denominazione del palazzo, l’anno di costruzione e la firma, ossia nome e cognome del progettista.
Ma l’iniziativa avviata nel 1970 sotto la guida dell’ing. Francesco Rizzi e ripresa e integrata tre anni dopo, animatore sempre un artista, Dino Predonzani incontra fatalmente, anche se le targhe gialle assommano ora ad una quarantina, i limiti di ogni esemplificazione. Urgeva da tempo nel sodalizio, statutariamente impegnato a riflettere e dar voce alle esigenze della comunità di cui è espressione, il desiderio di allargare la panoramica, di approfondire il discorso sul sembiante emblematico di Trieste, di inventariare organicamente l’intero patrimonio neoclassico da sottrarre all’ingiuria del tempo ed ai guasti di un modernismo spesso scriteriato. Anche le cose minori, quindi, quelle più esposte alle insidie demolitorie della speculazione, ma degne esse pure di salvaguardia in quanto brani di un insieme qualificante e comunicativo: il monumento in cui Trieste rappresentò se stessa, la sua straordinaria crescita ottocentesca, la sua ben programmata espansione urbanistica (prima sul geometrico ordito delle preesistenti saline nel borgo teresiano, poi lungo le ordinate arterie dei borghi giuseppino e franceschino), l’ambizione della sua borghesia mercantile di nobilitare esteriormente l’acquisita prosperità intonando la «casa nova» al culto per l’antichità greco-romana, di cui erano predicatori gli artisti dell’epoca. E non solo per mero decoro o per sfoggio occasionale, ma per viverci l’intero arco della giornata in quelle dimore signorili, quasi tutte col fondaco a pianterreno, gli uffici commerciali all’ammezzato e l’abitazione familiare al piano nobile. Da notare, per inciso, che fu proprio questa armonica compenetrazione di esteriorità ed esigenze reali, questa capacità dei costruttori di produrre un’architettura a misura d’uomo, se il neoclassico si manifestò a Trieste come acutamente annotò Silvio Benco in forme meno monumentali, ma anche meno glacialmente accademiche che altrove.
Al momento giusto, la riscoperta di una tesi di laurea degli anni sessanta. Questa. Che è subito apparsa un adeguato coronamento dell’itinerario scandito dalle targhe gialle; un documento di rara estensione e rigorosità, da tradurre in pagine di testo così com’era nella stesura originaria, senza le inevitabili lungaggini che avrebbe comportato una minuziosa revisione d’aggiornamento e, più ancora, il rifacimento in chiave artistica dell’iconografia.