cm. 25 x 16,5, pp. 38, brossura con sovraccoperta, in ottime condizioni.
L’antichità greca ha rappresentato nel mito di Niobe la figura – e il simbolo di una madre che si vede uccidere spietatamente, a uno a uno, i propri figli. La storia dell’umanità, offuscata nel corso dei secoli da guerre e da lutti, ha dato spesso, purtroppo, nuova concretezza a quel mito; e nella nostra stessa città, durante il secondo conflitto mondiale, la fi glia del nostro massimo scrittore ha sofferto nello spirito e nella carne quell’atroce, straziante esperienza. Due dei suoi figli, Piero e Paolo, sono scomparsi nel 1943 al fronte russo; e il terzo, Sergio, è caduto durante l’insurrezione di Trieste contro i tedeschi, capeggiata da suo padre, il 1° maggio 1945, mentre ci si illudeva che spuntasse per la città e per la regione, ricongiunte alla patria italiana, una nuova aurora di libertà e di pace. E come se tutto ciò non bastasse, il bombardamento del 20 febbraio 1945 ha distrutto villa Veneziani, la villa di Italo Svevo, con l’adiacente fabbrica di pitture sottomarine.
Queste tragiche vicende sono il fondamento dei componi menti di Letizia Svevo Fonda Savio qui pubblicati; i quali non hanno alcuna pretesa e ambizione «poetica», ma sono e vogliono essere soltanto un documento umano; o, meglio, il documento di un dolore senza confini, che cerca nell’espressione letteraria e artistica un alleviamento, un riscatto, forse una catarsi. «Cantando il duol si disacerba», ha detto mirabilmente il Petrarca; ed è probabile che Letizia Svevo Fonda Savio abbia tenuto presente una simile asserzione quando ha scritto, tra il ’44 e il ’46, questi versi. Versi in cui contano soprattutto, o solamente, il dolore di una madre e la grandissima, straordinaria dignità con cui è riuscita a sopportarlo; e la nobiltà d’animo di chi è indotta dalla sventura che l’ha così duramente colpita sulla terra, a rivolgere lo sguardo all’alto e a sperare di essere un giorno ricongiunta ai suoi figli nel cielo.
Io che conosco Letizia Svevo Fonda Savio da molti anni, che le sono affettuosamente vicino, così come sono stato devotamente vicino a sua madre Livia, ritengo di poter scorgere il pregio migliore di queste composizioni nella loro sincerità, attestata per di più da un linguaggio semplice, colloquiale, commosso, intinto di una letterarietà sobria e discreta; e aggiungo che esse mirano esclusivamente a comunicare a poche persone amiche, capaci di comprendere e di ricordare, il dramma di una madre. Di una madre che un destino spietato ha voluto rendere una dolente e tragica Niobe moderna.