cm. 32,5 x 27,5, pp. 86, copertina rigida con sovraccoperta, firma e data di appartenenza, in condizioni molto buone.
Georges Braque è nato ad Argenteuil, uno dei paesi proverbialmente consacrati dall’Impressionismo. Proprio lui doveva diventare il protagonista della più grande svolta nella figuratività pittorica, dall’Impressionismo all’Informale: l’arte cubista.
Questa è una delle rare discrepanze biografiche e autobiografiche di un maestro, a cui è sempre riuscito di accordare la linea della vita con quella dell’arte, perfino nell’uso che fa della propria giovanile esperienza di pittore-decoratore, specialista in finti marmi e finti legni (decoratore di edifici era suo padre).
Per i dilettanti di oroscopi, non è casuale che Braque sia nato nel 1881. La regnatura della generazione venuta al mondo in quel giro di anni sembrò predestinarla a creare, in tutte le arti, la grande svolta, il mutamento dello stadio di visione. (Ma qui alla bizzarra ipotesi astrologica può benissimo sostituirsi una razionale spiegazione storica.)
La coerenza di Braque, il suo mettersi sempre tutto intero in tutto ciò che fa, conferiscono alla sua opera grafica una portata pari a quella dell’opera pittorica. E perciò il Brandi ha potuto, sulla scorta delle incisioni e litografie, dedurre tutta la storia dell’artista, dalle premesse fauvistiche alla scoperta del cubismo. (Il nome del movimento deriva, come è noto, da una cronaca di Louis Vauxcelles, al Salon d’Automne del 1908, nella quale si rimproverava a Braque di dipingere a “scubetti”. La prima personale di Braque è dello stesso anno, ed ha come patrono Apollinaire.)
La grande direttrice di questo artista fa capo al postulato di Cézanne: rappresentare una cosa senza «riprodurla», che in lui diventa l’impegno di ottenere da un oggetto naturale un soggetto d’arte. La sua etica, non solo di artista, è condensata nella massima: “La regola corregge l’emozione”.
Il suo sviluppo, dal cubismo in poi, si può scandire in tre tappe: dalle intersecazioni dei diversi strati dell’immagine alla loro sovrapposizione, da questa all’intarsio. Lungo tale cammino egli rasenta e sventa, si può dire, quasi tutte le altre correnti della pittura moderna: sfugge al surrealismo perché in lui il problema figurativo si propone «nell’ambito della forma e non in quello dell’espressione», abbandona il cubismo analitico quando questo sta per generare l’arte astratta.
Ma soprattutto il suo muovere sempre dagli schemi spontanei della percezione lo salva dal naturalismo, anche quando egli sembra rischiare la ripresa diretta del vero. Il naturalismo (vale a dire il contrario di qualsiasi realismo), cioè la più cocciuta e insidiosa minaccia che ancora tenti subdolamente l’artista di oggi. Così, nel narrare criticamente Braque, in questa lucida e suggestiva monografia, Cesare Brandi ha anche potuto delineare l’essere e il dover essere dell’arte moderna.