cm. 26 x 24, pp. 236, brossura, in ottime condizioni.
Artista poliedrico. Tra tutte, di Mario Baldan, questa è la definizione che più gli si addice (mi accorgo, scrivendola, che anche la parola “definizione” non riesce a dissimulare per lui un moto di intima simpatia): poliedrico, dicevo, inteso nell’accezione primaria, come se la sua arte fosse la definizione della struttura di un poliedro, il punto di vista della luce stessa, il fosfene che si staglia sulla retina, fino alla sua caleidoscopica dissoluzione: ovvero l’occhio che osserva la rifrazione prismatica del proprio cristallino. Di fronte a certe sue composizioni, si ha l’impressione che l’astrattismo sia la più oggettiva delle arti. Ma se di astrattismo si tratta, quello di Baldan sembra porsi al confine dello stesso, nel lembo più estremo del proprio territorio, indicandoci un punto di passaggio o di collegamento tra l’invisibile e il visibile, tra soggetto e oggetto, tra concetto e rappresentazione. Le sue figure, infatti, suggeriscono sempre qualcosa allo stato nascente, l’inizio di una genesi, come il palpitare di una cellula nella prima fase di divisione, cellula che tuttavia ha già in sé il progetto, la mappa genetica, di un complesso organismo in evoluzione.
Il Novecento volge ormai alla fine, ma di questo secolo, indicato come il tempo della sperimentazione, Mario Baldan sarà annoverato sempre tra gli esponenti più rappresentativi.