Caratteristiche e condizioni:
cm. 21,5 x 14, pp. 302, brossura, in ottime condizioni.
Contenuto:
La produzione letteraria e saggistica del grande narratore e filosofo ebreo tedesco Martin Buber (1878-1965), che più di ogni altro ha contribuito a far conoscere in Italia l’ebraismo e la mistica ebraica, si è confrontata spesso con il tema del chassidismo.
Dalle Storie di Rabbi Nachman (1906) a La leggenda del Ba’al Šēm (1908), La mia via al chassidismo (1918), Il Grande Magghid e i suoi discepoli (1922), I libri chassidici (1928), Significato del chassidismo (1935), Il messaggio chassidico (1952), fino ai Racconti dei chassidim pubblicati nello stesso anno di Gog e Magog (1949), l’intento di Buber è sempre stato quello di ricostruire criticamente e di rivalutare questo movimento religioso di origine popolare sorto nelle comunità ebraiche polacche e galiziane nel secolo XVIII, che si è alimentato, e si alimenta, di una spiritualità fondata sulla gioia e sulla “devozione” capaci di rendere “sacro” ogni atto della vita quotidiana.
A differenza di altri scritti di Buber, Gog e Magog ha però la struttura e il fascino del romanzo epico, ricco di personaggi e di vicende recuperati attraverso la finzione della cronaca narrata dai testimoni dei fatti. Qui gli insegnamenti del chassidismo sono presentati attraverso le vicende che opposero due comunità chassidiche e due grandi maestri: il “Veggente di Lublino” e il “Santo Ebreo” di Pžysha. Il primo era capo di una tradizione mistica che ammette il ricorso alla magia ritenendo possibile e lecito far pressione sulle forze superiori affinché esse producano quello che si desidera; il secondo, ponendo l’accento sulla necessità della trasformazione interiore, si opponeva ad ogni ricorso alla magia e al miracolo.
Alcuni zaddiqim, infatti, «hanno tentato, spiega Buber nella sua postfazione, per mezzo di atti teurgici (la cosiddetta Qabbalà pratica) di fare di Napoleone il «Gog del paese di Magog» di cui è scritto in Ezechiele, e alle cui guerre, come dicono alcuni testi escatologici, deve seguire la venuta del Messia; ed è anche vero che altri zaddiqim hanno opposto a questi tentativi l’ammonimento che non per mezzo di atti esteriori ma solo attraverso il completo «ritorno» dell’uomo si possa preparare il terreno per la Redenzione».
Il romanzo, ambientato appunto alla fine del Settecento, all’epoca della spartizione della Polonia e delle guerre napoleoniche che avevano fatto sorgere attese di rinnovamento fra gli ebrei polacchi, ebbe una gestazione lunga e tormentata come spiega lo stesso autore: «La possibilità di tentare la prima stesura di questo libro mi fu data dal fatto che, allorché questo tema mi diede maggiormente da fare, nel corso dell’ultimo anno della prima guerra mondiale […], mi trattenni in Polonia e feci conoscenza della zona in cui la lotta aveva avuto luogo. Solo allora potei vedere. Eppure, sia la prima che la seconda stesura di questo libro mancò. Quello che finalmente lo condusse alla sua ultima maturazione fu l’inizio della seconda guerra mondiale, quell’atmosfera di crisi tellurica, il tremendo ponderarsi delle forze e il segno di un falso messianismo d’ambo le parti».
Senza dubbio è anche questa la ragione per cui la lettura del romanzo di Buber è ricca di suggestioni e di spunti di riflessione per tutti coloro che, ebrei e non, si apprestano, tra timori e speranze e nuove attese messianiche, a varcare la soglia del terzo millennio.