cm. 19,5 x 11,5, pp. 368, brossura, in ottime condizioni.
I libri più veri e più rivelatori sono, a volte, proprio i meno definibili, quelli che più ostinatamente si sottraggono a qualsiasi etichetta o classificazione di genere. Max e i fagociti bianchi – che Fernanda Pivano, nell’esauriente descrizione critica allegata al volume, definisce “un gentile groviglio di narrazione e critica, di polemica e di documentario, di storia del costume e di storia letteraria” – è sicuramente uno di questi libri. Scritto nel pieno dell’amicizia di Miller per Anais Nin, alla quale sono dedicate alcune pagine indimenticabili, esso costituisce, al tempo stesso, un affascinante, caleidoscopico ritratto degli Anni Trenta e uno straordinario autoritratto (tanto più incisivo quanto più indiretto e involontario) dell’autore di Tropico del Cancro. Si occupi, con balenanti intuizioni, di Rimbaud e di Proust, di Shakespeare e di Buñuel, racconti con humour vigoroso una sua tragicomica avventura di viaggio, o studi con sottigliezza fraterna e crudele un “caso” di disperata solitudine, è sempre di se stesso, in fin dei conti, che Miller ci parla: del suo amore puro, violento e insaziabile per la vita, della sua libertaria innocenza, della sua capacità di cogliere in ogni momento il senso più concreto e abbagliante delle cose e di rendere cose, fisicamente emozionanti e tangibili, anche le idee.