cm. 22 x 14,5, pp. 562, copertina rigida, in ottime condizioni.
Le generazioni nate durante gli anni del fascismo hanno guardato a Cesare Pavese – non solo ai suoi romanzi e alle sue poesie, ma anche alla sua attività di critico, di editore (fu tra i fondatori e tra gli animatori della casa editrice Einaudi), e di traduttore – come a un preciso punto di riferimento culturale, estetico e ideologico. (…) se Pavese tenne nel cassetto quei racconti non era certo per timore della censura (infatti non li pubblicò nemmeno dopo la Liberazione), ma per un’insoddisfazione di natura critica, come si trattasse di studi preliminari per un irrisolto tentativo di fusione di prosa e poesia, o tentativi giovanili ancora rozzi e inesperti, non paragonabili ai romanzi della maturità, e neanche utili come precedenti. Ma rileggendo oggi questi racconti, questa insoddisfazione ci appare tanto immotivata e ingiusta, che io oso avanzare l’ipotesi che a Cesare Pavese fossero in un certo senso sfuggite l’importanza e la qualità di quelle pagine.