cm. 34 x 25, pp. 272, copertina rigida con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Una chiara luce su preziosi reperti architettonici, che permettono di recuperare l’originaria ‘forma’ dell’altar maggiore progettato nel 1575 da Andrea Palladio per la chiesa veneziana dell’Ospedaletto; e l’individuazione della presenza, quanto meno, del pensiero palladiano quale premessa alla realizzazione di elementi essenziali e qualificanti dell’orditura della navata, che è quanto dire il prender forma dello spazio stesso dell’intero edificio: sono i primi risultati di questa ricerca. A essi l’autore è pervenuto attraverso un’attenta lettura di documenti, anche inediti, e la costante correlazione esperitane coi manufatti esistenti attraverso un’approfondita analisi testuale. Successivi interventi, anche a opera di personalità di spicco quali Antonio e Giuseppe Sardi e Baldassare Longhena, hanno tormentato nel tempo il tessuto originario; ma quanto ne resta coesiste con gli esiti delle renovationes secentesche in una stratificazione ch’è diventata simbiosi, ricca di suggestioni e pregnante di significati; nella quale è dato di avvertire in modo esemplare il senso della continuità della storia.
Quella dell’Ospedaletto è una storia scritta, quanto a munificenza, dai ceti emergenti della società veneziana: mercanti, artigiani, borghesi, in gara con l’aristocrazia nel creare le strutture di un servizio sociale che a Venezia prese forme originali, attraverso un impegno in cui s’intrecciano carità, arte e cultura, e che qui trova gratificazione nel pensiero longheniano che presiede alla complessa macchina allegorica della facciata, a una plausibile e coerente ipotesi interpretativa della quale questa ricerca contribuisce.
Un problema fra i più appassionanti per la storiografia dell’arte di questo secolo era costituito dall’arredo pittorico dell’Ospedaletto, e in particolare dal ciclo di diciotto dipinti sagomati – «soprarchi» e «pennacchi» – che decorano il registro superiore della navata. Una accorta esegesi delle fonti e una penetrante lettura di carte d’archivio sempre correlate a un’analisi dei testi visivi storicamente e filologicamente aggiornata anche grazie a risultanze di approfondite indagini dell’autore stesso su altre parti di quell’eccezionale complesso pittorico-identificazione delle primizie di Pietro Liberi, recupero di una grande pala di Nicolas Régnier ritenuta perduta, e altre permettono qui di finalmente veder chiaro nelle documentate e pur fin qui controverse presenze di Giambattista Tiepolo ai suoi esordi e di Nicola Grassi; che trovano il posto che loro compete in un più articolato contesto cui pertengono le riconosciute compresenze del Régnier stesso e del Pittoni, del Bellotti, del Polazzo e del sorprendente ‘todesco’ Carlo Sferini: restituendo globale credibilità d’immagine a quell’affascinante serie sei-settecentesca. Per l’eccezionale ricchezza e rilevanza dell’arredo pittorico dell’Ospedaletto e la sua posizione ‘centrale’ nel contesto della storia dell’arte veneziana di quei secoli, il volume si correda di un aggiornamento bibliografico riguardante tutti gli artisti coinvolti in quell’impresa; e di un repertorio» che comprende dipinti e sculture fra i più rappresentativi onde constano le raccolte artistiche delle istituzioni cui la chiesa pertiene: ciò che conferisce al carattere di strumento ‘repertoriale’ del volume a vantaggio della cospicua e vasta tematica presa in esame.