cm. 19,5 x 12, pp. 398, copertina rigida con sovraccoperta, in condizioni molto buone.
Il romanzo Le Furia segna il ritorno di Guido Piovene alla narrativa dopo un lungo periodo, sedici anni circa, in cui se n’è astenuto. Questo ritorno avviene nell’unico modo e nell’unica forma che gli sono possibili e necessari. Quella narrativa essendo la sua vocazione più vera, Piovene ha dedicato la parte migliore dell’intervallo nel cercare modi e strumenti che gli fossero congeniali soprattutto nello scartare altri che giudicava, provandoli, inadatti pet lui, suggeriti da mode, oppure morti in assoluto. Per lui è stata una lunga autolezione di rigore, di richiamo alla necessità, dal cui esito dipendeva il suo “essere o non essere” in quanto narratore, il quale esige da se stesso la convinzione interna, la sicurezza di operare nell’aria rarefatta dove l’intelligenza è più tesa, più avida di scoperta e di conoscenza, più sincera e più libera. Nel romanzo Le Furia Piovene non è completamente infedele alla sua opera giovanile; solo, essa rimane come una preistoria, e i temi che ne restano vi sono trasformati da una moltiplicazione di lucidità violenta. È accentuata l’impostazione saggistica, che conduce nella sua scia, senza distruggerli, spunti lirici e spunti epici. Siamo lontani dal neorealismo e dai suoi derivati, ma anche dal “nouveau roman” francese. Il romanzo è la storia di una passeggiata, una specie di itinerarium mentis, un’esperienza compiuta mediante l’incontro con alcune persone vere, ma soprattutto con visioni, quasi allucinazioni, introdottesi abusivamente alle radici della vita, e divenute ormai tanto oggettive che l’autore può solo riferirle e descriverle senza inventare nulla. Cosi, è proprio un romanzo “visionario” come Le Furia che esalta, contro l’invenzione, l’esperienza lucida; è proprio un romanzo di punta che rivaluta l’interiore contro un certo oggettivismo spurio.