cm. 21,5 x 16, pp. 534, brossura con sovraccoperta (riparazioni con lo scotch), segni a penna sul catalogo editoriale al termine del volume, in buone condizioni generali.
Il volume che presentiamo è il frutto della nuova fatica cui Revelli ha atteso con pazienza non meno contadina, vagliando migliaia e migliaia di lettere, sino a ricomporre decine di interi epistolari, che mettono a fuoco altrettanti «personaggi» e, con essi, lo spaccato di una realtà sociale. Restituite alla loro interezza, queste lettere-diario consentono di seguire lo svolgimento di vicende emblematiche, che a quasi trent’anni di distanza pongono praticamente immutati i problemi e gli interrogativi di una condizione umana.
La «guerra dei poveri» (prima l’Albania e la Grecia, poi la Russia) viene delineata dagli stessi protagonisti, ingenui e polemici, prudenti e spavaldi, allegri e disperati, fatalisti e rassegnati, in una specie di partita a rimpiattino con la censura e l’autocensura. La guerra e la pace vi si intrecciano inestricabilmente: il fitto dialogo tra la casa e il fronte sulle semine, i raccolti, la stalla, la contabilità dei pacchi e dei vaglia, speranze sempre più fievoli, le ingenue giaculatorie sulla vittoria «immancabile», la disinvoltura che cerca di mascherare l’angoscia crescente, si mescolano alla descrizione della morsa sempre più ferrea del freddo, alle immagini di cupe tradotte, villaggi distrutti, marce interminabili, contadini cenciosi. Armati soltanto dei luoghi comuni della retorica fascista e di qualche immaginetta, gli alpini cominciano a capire, a prendere coscienza di una condizione di «esclusi» che la realtà abnorme della guerra non ha fatto che rendere trasparente: il tema della consapevolezza, e degli effetti ritardanti che su di essa può avere una situazione storico-sociale, si afferma proprio come uno dei motivi conduttori del libro.
Ed è qui che queste testimonianze postume superano il limite delle memorie e si proiettano sul presente, parlano per i dimenticati di tutte le periferie, li ripropongono all’attenzione civile di una società che li ha sempre ignorati: «Credi pure che sta decantata civiltà à portato il mondo a un bel punto, strage e pianto».