cm. 21 x 13,5, pp. 190, brossura, sporadiche sottolineature ed annotazioni a penna, in buomne condizioni.
Secondo il mito, ai confini del mondo il giardino delle Esperidi garantirebbe contro le devastazioni e le perturbazioni degli uomini, del tempo, della morte. Separato dalle contrade della storia, questo Eden ha sempre suscitato l’utopia di un soggiorno beato; ma il mito sarebbe privato del suo fascino se al desiderio di raggiungere quel felice giardino non si fosse unita l’ansia del possesso dei suoi frutti al bisogno di assicurarsi il piacere di una terrestre serenità quello di un meraviglioso bottino. Questo volume di Lea Ritter Santini, ripercorrendo le «annotazioni di viaggio di scrittori tedeschi degli ultimi due secoli da Goethe a Enzensberger – mette a fuoco non solo la fascinazione di quel mito, ma anche la sua devastazione, il suo lento corrompersi a contatto dei veleni della storia. È vero che nel suo viaggio in Sicilia Goethe scopre un paesaggio lontano dal continente familiare di Weimar, che gli fa credere di essere giunto nell’isola dei Feaci. Ma allora perché, si domanda l’autrice, l’assillo di abbandonare presto un luogo scoperto come un paradiso e goduto come un giardino incantato? Per tutti coloro che tra Sette e Novecento annotano in Italia le impressioni di viaggio (si tratti della Vicenza palladiana di Curtius, della Roma archeologica di Freud o della Venezia labirintica di Hofmannsthal e Thomas Mann) le soste del viaggio non sono che stazioni di cambio nella conoscenza di se stessi, raccordo di passato e avvenire nell’utopia del cammino. E ancor meglio risalta il contrasto fra mito e temporalità quando il percorso non va nella direzione Nord-Sud, dalla Germania all’Italia, bensì con D’Annunzio, studiato nell’ultimo capitolo del volume – è un italiano che rivisita i paesaggi «barbari» della – cultura tedesca, quasi a conferma del fatto che la modernità concepisce la struttura della psiche secondo categorie spaziali.