cm. 21 x 13,5, pp. 210, brossura, in ottime condizioni.
L’autore di questo libro è stato uno dei primi studiosi ad occuparsi, più di trent’anni fa, del tema delle arti della memoria nella cultura europea. L’arte della memoria, si chiede oggi Rossi, è davvero finita nell’età di Leibniz, è davvero una sorta di fossile intellettuale, oppure ha subito una serie di trasfigurazioni ed è in qualche modo nascostamente sopravvissuta? Immagini costruite per ricordare ricompaiono, fra il Cinquecento e il Seicento, negli scritti dei Gesuiti, nella manualistica per i confessori, nei catechismi per gli illetterati, si ripresentano oggi nella letteratura psichiatrica, nelle scuole per gli operatori della pubblicità. Memoria e immaginazione sono facoltà gemelle, come volevano Hobbes e Vico, o contrapposte, come pensa oggi una diffusa (e deleteria) pedagogia antinozionistica? Ma il tema della memoria è assai più ampio di quello dell’arte della memoria. Ha a che fare con l’idea-attiva nella biologia, nella filosofia, nella letteratura, nella psichiatria che pezzi del passato si riaffaccino o riemergano nel presente. Chi pensa questo pensa anche ad una non unicità degli eventi, ad una ripetizione. Come coesistono nella cultura europea l’immagine del tempo come «freccia» e del tempo come «ciclo»? Se è vero, come voleva Weber, che l’«essere superati» non è soltanto «il destino», ma anche «lo scopo» di tutti coloro che si dichiarano «scienziati», la dimenticanza del passato non è elemento costitutivo della nozione stessa di scienza? Ma parlare della dimenticanza nella scienza, dei modi in cui essa consuma il suo passato non è che un modo, anche se non del tutto consueto, di parlare della crescita o del progresso nella scienza, di riaffermarne e riconoscerne la presenza.