Caratteristiche e condizioni:
cm. 24 x 17, pp. 410, brossura, tracce di adesivo sulle prime e ultime pagine (per applicazione sovraccoperta), per il resto in ottime condizioni.
Contenuto:
“Vedere” è un atto creativo; e il giudizio visivo non è contributo dell’intelletto successivo alla percezione ma ingrediente essenziale dell’atto stesso del vedere. Quanti, tuttavia, sanno prendere coscienza del giudizio visivo, e tradurlo e formularlo? Sapere quali sono i principi psicologici che lo motivano e quali sono le componenti del processo visivo che partecipa alla creazione come alla contemplazione dell’opera, significa sapere “che cosa,” in realtà, vediamo. Per “vedere” in tal senso l’opera d’arte, non occorre essere un artista o uno psicologo: ma niente può essere prezioso quanto l’avvertimento di uno psicologo che è anche finissimo critico d’arte.
Rudolf Arnheim, già discepolo di Max Wertheimer, a Berlino, ora docente di psicologia dell’arte presso l’università di Harvard, autore, fra l’altro, di uno dei più illuminanti saggi sulle tecniche filmiche, fonda la sua trattazione sui più recenti principi della psicologia della Gestalt. Egli tende ad opporsi al formalismo, riportando con la costante esemplificazione di opere di pittura, scultura e architettura la forma al significato e al contenuto, e suggerisce come se ne possano cogliere i più significativi moduli strutturali, approfondendo i problemi che si sono sempre proposti all’artista: equilibrio, forma, spazio, luce, colore, movimento e analizzando le molteplici soluzioni dall’arte più remota a quella dei nostri giorni.
“L’arte è la cosa più concreta che esista, e non c’è giustificazione alcuna per il fatto di confondere le menti di chi vorrebbe saperne di più attorno ad essa.” Sono parole dell’Arnheim: il rifiuto di un linguaggio tale da sfuggire al non iniziato, è nel rigore dell’approfondimento scientifico la prima preoccupazione di chi ha una parola nuova da dirci.