cm. 20,5 x 23,5, pp. 294, brossura, in ottime condizioni.
Costituiva un tempo un nucleo a se stante, ricco di vitalità contadina, artigiana e di traffici via mare: questa era Servola, legata alla vicina Trieste soprattutto da rapporti di lavoro femminile; al sistema viario della città era collegata-fino agli inizi dell’Ottocento – da impervie stradine nei campi e nei boschi percorse all’alba dalla teoria di somarelli guidati verso il centro, con il famoso pane fresco, dal le «pancogole» o «breschizze», Servola è stata sempre amata dai triestini per il suo ambiente agreste, per le sue casette con ameni pergolati, per la sue trattorie accoglienti, per il suo mare, per il biancore della chiesa che spicca da lontano, per lo spirito gioviale dei suoi abitanti, per il suo pane, il suo vino e le sue ostriche.
La gita domenicale a Servola era una consuetudine per molti, data anche la vicinanza dello stadio che ai tempi gloriosi della Triestina attirava folle di curiosi. Vi si andava a piedi in gruppi famigliari e si consolidavano cosi, con la salute, anche i rapporti umani e di amicizia. Molti poi vi si recavano almeno una volta all’anno a carnevale che Servola festeggia da tempi immemorabili: tuttora le manifestazioni servolane sono ben note e vivacissime; a fine Ottocento si concludevano qui i corsi delle carrozze, provenienti da Sant’Andrea, che portavano il tocco di nobiltà a una festività tutta popolare nella quale poi si confondevano e fondevano tutti. Industrie e imprenditoria trovarono, dal primo Ottocento, nuovi spazi lungo la costa che dalla città si sviluppa fino a Muggia coinvolgendo, nelle nuove attività, gli abitanti e attirando pure nuove forze lavoro.
Nonostante gli insediamenti recenti s’avverte però sempre la presenza d’un nocciolo di servolani veri», quelli d’antica data: tutti profondamente legati al luogo che li ha visti nascere e, soprattutto se lontani, fedeli custodi delle sue memorie, Il dott. Adriano Sancin è di questi, anzi lui i documenti se li è andati a cercare per anni ed ora li presenta qui a testimoniare l’amore per la sua terra e farla conoscere al pubblico anche nelle sue pieghe più nascoste, illustrandone con immagini e documenti l’evoluzione storica. Un libro del genere ci voleva e se a farlo è stato un erudito appassionato, più che uno storico, tanto. meglio perché si avrà notizie pure di particolari che altri trascurerebbero.
Si conosceranno i nomi degli abitanti casa per casa, con i soprannomi e i mestieri praticati, in vari momenti dell’Ottocento, così come l’evoluzione dei costumi di quelle belle paesane dallo scialle di seta portato con elegante civetteria e il fazzoletto sapientemente annodato sul capo che disegni e stampe hanno tramandato e diffuso e che molti conservano ancora gelosamente: con le maniche larghe, dai ricami all’uncinetto e i bordi neri che richiamano velatamente rapporti e legami con paesi lontani, magari con gli uscocchi o meglio, forse, con la Dalmazia certamente frequentata dai suoi abitanti fin da tempi remoti. Adriano Sancin è un medico dagli interessi molteplici e senza confini, E un po’ un giramondo che si è distinto per alcuni studi di carattere antropogeografico con lavori sui popoli Sahara, sulla storia della medicina in Europa e con ricerche nei paesi latino-americani sulla cultura e l’arte medica precolombiana. In quest’opera egli offre un saggio sulla sua terra natale: frutto della passione di conserva re documenti e immagini ma anche sviluppo graduale di un’indagine medica sulla prevenzione e le quarantene delle malattie contagiose: lavoro che lo occupa da tempo.