cm. 22 x 14, pp. 270, brossura, in ottime condizioni.
Storia di Huon di Bordeaux, o il racconto puro. Succede raramente di essere conquistati, con la stessa intensità di cui è capace questa singolare chanson de geste, dal desiderio perentorio di voltare la pagina, di correre oltre, voracemente, in una lettura che si spera infinita…
Sapienza compositiva e varietà sorprendente di avventure scandiscono la vicenda del valoroso e scapestrato Huon, paladino di re Carlo, che, vittima di un inganno, deve scontare una punizione immeritata e superare prove estreme nel favoloso Oriente. Incontrerà, nei momenti più critici, il minuscolo, potentissimo, fatato Auberon.
Composta in un lasso imprecisato di tempo fra il 1180 e il 1260, forse nel nord della Francia, da un troviero o da un giullare, l’opera si presenta come un’originale commistione di motivi e di toni, in cui l’etica feudale, guerriera e religiosa dell’epoca carolingia si stempera appena in una velata ironia, fino a ricreare le sequenze fantastiche del romanzo cortese.
Così, nei risvolti avvincenti dell’intreccio, ecco che scopriamo una straordinaria ricchezza psicologica e stilistica, una rara potenza di evocazione simbolica: si schiude ai nostri occhi un mondo di passioni definitive, in cui i cavalieri offrono la propria vita con generosità assoluta e non esitano a recidere spietatamente quella degli altri, in cui il cammino dell’eroe può approdare a un enigmatico bivio, e in cui le parole dei personaggi, come la voce del narratore, possiedono quella disarmante essenzialità, quella semplice e scabra evidenza che sono uno dei segni della grande scrittura.
Questa robusta efficacia di mezzi espressivi, del resto, permette al nostro ignoto autore di trattare i mari, i continenti, e beninteso gli uomini con una disinvoltura che non smette di stupirci. Poche parole egli dedica alla traversata da Brindisi alla Terra Santa, mentre indugia lungamente su episodi minori. Un gioco sulle proporzioni che ci fa pensare agli affreschi medievali, con quelle figure di santi, condottieri e cavalli smisuratamente grandi rispetto alle mura delle città e dei paesaggi.
La libertà della rappresentazione, poi, si esterna al ritratto dei potenti, con quell’imperatore e quel papa così umani, così in carne e ossa, tanto più vicini a noi degli attuali grandi della terra. Familiare, soprattutto, ci riesce l’amicizia fra Huon e Auberon, in cui la capacità di caratterizzazione psicologica mostrata dal narratore raggiunge i suoi esiti più alti. Sollecito ma irascibile (e ne ha ben donde, vista la propensione del cavaliere di Bordeaux a infrangere la parola data), il piccolo re delle fate – che riapparirà secoli dopo nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare – si congeda alla fine della storia per far ritorno nel suo regno e assurgere in paradiso. Ma lo fa con dolcezza, con un pizzico di nonchalance, e non ci lascia alcun rimpianto.