cm. 21,5 x 14, pp. 166, copertina rigida con sovraccoperta, in ottime condizioni.
Inseguendo balenanti volti negli atti dei processi contro gli eretici istriani di Dignano, incartamenti affaticati da secoli di silenzio nell’Archivio di Stato di Venezia, o sfogliando più recenti pagine di riviste di storia triestina, Fulvio Tomizza, non nuovo ad inchieste sulle commozioni civili e religiose che plasmarono la gente della sua natale marca di frontiera, ripropone qui un inatteso capitolo sulla vita e la fede di un borgo istriano del Cinquecento. La sorpresa, in questa fervida relazione narrativa, non è nei modi di una scrittura la quale scorrendo ormai per una dozzina di titoli è ben uscita dall’ambito di una pur alta tradizione triestina per entrare, con autorità, nel corpo vivo della letteratura italiana contemporanea; sorprendente è piuttosto la manzoniana attenzione che Tomizza porge alle secolari vicende della sua patria regionale, nel senso che sa afferrarne, al di là del sommuoversi delle passioni umane e terragne, il sottostante flusso ideologico e religioso per tramutarlo nel respiro storico di cui tutti siamo partecipi: la sperduta cronaca del borgo di Dignano d’Istria diviene così un luogo dell’emozione collettiva e della nostra storia. Nel tardo Cinquecento per ragioni molteplici e sull’onda dell’eresia riformatrice del vescovo Vergerio (alla quale Tomizza ha già dedicato le applaudite pagine di Il male viene dal Nord), nel circondario di Pola, dove erano immigrati morlacchi e ortodossi greci per lo più analfabeti, si diffusero le dottrine eretiche dei luterani con un doloroso seguito di processi inquisitivi, di carcerazioni, ma anche di compromessi squisitamente cattolici. Tomizza è riuscito “a diventare un uomo di quel tempo e di quel luogo”, a trasmetterci il suo stupore per il credito che quei lontani eretici analfabeti attribuirono alla parola scritta e al Libro, a tradurre in messaggio culturale e in gesti narrativi quei risentimenti religiosi e a condividere sulla pagina “usi, parlata, passioni, aspirazioni” pur così remoti. Il che è consentito a chi sa appartarsi, schivo di vani presenzialismi giornalistici e mondani, in una sua dura e paziente vocazione: solo così fra troppi e sempre più confondibili scriventi, una generazione e un tempo maturano alcuni autentici scrittori.