cm. 22 x 14,5, pp. 238, copertina rigida con sovraccoperta, lettera “S.” a penna al frontespizio, in ottime condizioni.
Duluth è una immaginaria città americana, non-luogo e luogo di tutti i luoghi, utopia negativa e incarnazione dell’«american way of life», con tutte le manipolazioni e mistificazioni che essa comporta. Gore Vidal si diverte a far deflagrare questa apparente struttura «democratica», vista attraverso la lente di un devastante serial televisivo come «Dallas». La rifrazione dei piani narrativi porta a una dilatazione surreale del discorso, attraverso continue «botole» spazio-temporali, che si aprono con frequenza girandolesca ed esilarante sotto i piedi instabili del lettore. I personaggi topici della vita sociale statunitense (il sindaco, il capitano di polizia, il giornalista, il riccone, la moglie vogliosa del riccone, gli emarginati di colore e messicani, e così via) creano un balletto di intrighi assurdi. Ma anche la sessualità elefantiaca celebra pandemoni interrazziali a catena, soprattutto per l’appetenza sfrenata di una tenentessa della squadra omicidi. Siamo in presenza di una satira pirotecnica e totale, già sperimentata con successo da Vidal in altri romanzi, come Myra Breckinridge, dove, a volta a volta, intervengono presidenti USA, scrittrici «culinarie» di vasta fama, extraterrestri con classica astronave, l’FBi, la CIA, Napoleone e la sua amante-spia, la droga, il gioco, il terrorismo, l’alta sartoria, in una schiamazzante miscela di vacuità e di sberleffi, emblematici di una realtà non più afferrabile con il metro serioso della così detta «lucida ragione».