cm. 22 x 14,5, pp. 234, brossura, in buone condizioni.
Chi si occupa di discipline che hanno l’uomo a loro oggetto immediato, chi studia ad esempio i problemi educativi, si trova continuamente nella necessità di effettuare valutazioni che hanno per loro materia altre valutazioni. Ciò riesce specialmente evidente, in pedagogia, quando si affronta il problema delle valutazioni scolastiche. Ma anche chi voglia giudicare del valore dell’educazione umanistica, o di altri indirizzi o obiettivi educativi, si pone nella stessa situazione. Probabilmente ogni serio studioso di una qual siasi di quelle discipline che si designano spesso col nome di «scienze sociali», si è trovato a dover riflettere sulla natura della sua propria e dell’altrui attività valutativa.
Cosa significa essere ‘obiettivi’ quando la materia della nostra indagine è permeata da quei medesimi sentimenti che agitano noi stessi? Una siffatta ‘obiettività’ è possibile, o è puramente illusoria? A quali condizioni può realizzarsi, se pur può realizzarsi?
È naturale che una risposta a siffatte domande la si vada a cercare nel campo della filosofia. Ed effettivamente la filosofia con temporanea non ha ignorato l’urgenza del problema, ch’è resa più acuta appunto dalla rapida fioritura delle scienze che studiano da vari punti di vista le scelte degli uomini. Negli ultimi tempi, particolarmente negli ultimi quindici anni, un numero imponente di studi è stato dedicato alle attività valutative, al linguaggio valutativo, ai giudizi di valore, alla logica delle valutazioni.