cm. 20,5 x 12, pp. 112, brossura, angolo della prima pagina tagliato (no testo mancante), un abrasione al piatto posteriore, sporadiche sottolineature a matita, per il resto in buone condizioni.
Se mai un uomo portò in sé í germi del suo tragico destino, questi fu Yukio Mishima. Si tolse la vita a 45 anni, il giorno in cui terminò l’ultimo romanzo della tetralogia Il mare della fertilità, capolavoro e testamento di un’opera letteraria vasta, policroma, spesso sconvolgente, che gli aveva meritato una fama mondiale. Ed era lo stesso giorno in cui, 23 anni prima, aveva iniziato le Confessioni di una maschera, sorprendente racconto autobiografico dell’angoscia e insieme dell’atonia. Il 25 novembre 1970, dopo aver sequestrato un generale e tentato di arringare le truppe, lo scrittore si apri il ventre con un colpo di spada e quindi si fece decapitare da un discepolo. Morte terribile, che punto per punto eseguiva il seppuku, il suicidio rituale della tradizione: ad essa Mishima s’era preparato per anni, l’aveva prefigurata nelle fini di molti protagonisti dei suoi romanzi. l’aveva mimata lui stesso come interprete di film. Ma morte appagante: tramite essa i “quattro fiumi” della sua esistenza la scrittura, il teatro, il corpo, l’azione – rifluivano insieme in quel “vuoto metafisico” che da sempre lo attraeva. All’atto supremo del suicidio si riferisce Marguerite Yourcenar per rivelare il senso dell’avventura umana di Mishima. E come la sua creazione letteraria le appare tutta votata alla morte, cosi quella morte volontaria le appare l’ultima delle sue opere: l’atto che soddisfava la sua ansia crudele di assomigliare ad esse annullandovisi, l’estremo e paradossale tentativo di unire arte e vita. In questo saggio esemplare che intreccia di continuo letteratura e biografia, una grande scrittrice d’Occidente smonta i meccanismi della psicologia di un grande scrittore d’Oriente, illuminandone le ambizioni, i trionfi, le debolezze, i disastri interiori e infine il disperato coraggio. Mishima vi è restituito al proprio enigma, a una complessità sconcertante troppo spesso appiattita e fraintesa da un’ottica “occidentale”. Così il suo richiamo ossessivo ai valori dell’etica samuraica non si lascia ricondurre come si è preteso – al fanatismo politico di un nostalgico del Giappone feudale e militarista. Il nazionalismo di Mishima esprime piuttosto il rifiuto della decadenza morale e civile di un Paese che si è affidato alla modernizzazione e alle sue promesse di prosperità materiale tradendo il retaggio spirituale della tradizione. E al fondo esprime un esacerbante senso del Sacro: Mishima pensava che in un mondo privo di fede era diventato impossibile l’amore stesso, e per sé di sperava di poter ricomporre, in esso, la propria sofferta dicotomia di anima e corpo, maschile e femminile. La lucida intelligenza che in queste pagine Marguerite Yourcenar congiunge con un’umana pietà. esaudisce nel solo modo possibile l’ultimo desiderio che Mishima affidò a un foglietto prima di darsi la morte, e che è caratteristico delle creature tanto ardenti da essere insaziabili: “La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre.”